Silvia Romano, la cooperante italiana sequestrata in Kenya un anno e mezzo fa, è stata liberata. Lo ha annunciato il presidente Conte con un tweet. E’ una bella notizia, che rincuora la famiglia Romano e arriva come un fulmine a ciel sereno in un periodo segnato solo di lutti.

A mancare all’appello, ormai da sette lunghi anni è padre Paolo Dall’Oglio, gesuita italiano che per trenta anni ha risieduto in Siria e che, nel 2013, era rientrato nel paese in guerra recandosi a Raqqa. “Ho una missione da compiere” aveva annunciato sulla sua pagina Facebook. “I giovani democratici della città di Raqqa mi hanno chiamato”.

In quel periodo, siamo nel mese di luglio, la località, oggi controllata dai miliziani curdi del SDF, era caduta in mano agli uomini di al Baghdadi. I diversi comitati locali nella città stavano protestando contro una campagna di arresti e sparizioni portate avanti dai jihadisti.

Fra le persone scomparse, inghiottite nei buchi neri delle carceri di quello che sarebbe diventato il Califfato, c’erano intellettuali, politici locali e persone comuni. Padre Dall’oglio, espulso dalle autorità siriane nel 2012, a causa della sua richiesta di apertura democratica in seno al regime siriano, era quindi rientrato un anno dopo per tentare una mediazione. Da quel momento, dal 29 luglio, è scomparso.

Si sono susseguite voci. Chi ha giurato di averlo visto vivo, chi morto, chi ha cambiato idea diverse volte. Si è appellato diverse volte il Santo Padre, Francesco, a chiederne la liberazione. Mentre le chiese orientali sono rimaste in silenzio, preferendo che quel monaco romano, con un carattere forte e senza peli sulla lingua, cadesse nell’oblio dei dimenticati: in barba alla misericordia cristiana.

Ecco allora che a gran voce richiediamo, affinché non sia dimenticato: liberate padre Paolo Dall’Oglio.

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