di Valentina Murino*

* coordinatrice dei progetti di Intesos a Roma, racconta, da mamma a mamma, l’incontro con Mare, una delle superstiti del naufragio di Lampedusa del 23 novembre 2019

Lavoro da tanti anni con le donne e per le donne ma quando arriviamo a questa parte del racconto, perché purtroppo ci si arriva sempre, il respiro si blocca ed ho una sensazione di freddo. Inizio a pensare e faccio fatica a proseguire nel discorso.

È il momento in cui la donna che è di fronte a me inizia a raccontare di quando appena 20enne, di ritorno da un matrimonio, è stata aggredita in strada, violentata da un uomo ubriaco, uno che nel villaggio conoscono tutti, ed è rimasta incinta.

Quando ascolto quella parte del racconto, il filtro di distacco professionale e autocontrollo costruito in anni di lavoro sociale – quel filtro fondamentale per organizzare le informazioni, dare le giuste risposte, assumere le giuste decisioni – il filtro che mi protegge, si incrina. E torno ad essere una donna di fronte ad un’altra donna, una madre vulnerabile di fronte ad un’altra madre.

La donna seduta di fronte a me ha fatto un lungo viaggio, iniziato quasi quattro anni fa, passato dall’Etiopia, dal Sudan e dalla prigionia in Libia, segnato da violenze, e quasi terminato sul fondo del Mar Mediterraneo, il cimitero d’acqua dove ogni anno perdono la vita centinaia, migliaia di esseri umani. È una delle superstiti del naufragio del 23 novembre 2019 al largo di Lampedusa. Per proteggere la sua identità, la chiamerò Mare.

Mare arriva nel Centro Intersos24 in una fredda serata dei primi di gennaio insieme alle sue due bambine, Onda di 1 anno e Vento di 4. Il centro è addobbato a festa ma si respira un’aria triste, l’aria di chi passa le feste lontano dalle proprie famiglie.

Senza la possibilità di studiare, o di lavorare, con il rischio di essere arruolata e con in grembo la bambina generata in seguito alla violenza, una bambina che ha scelto di crescere con amore, Mare decide di lasciare l’Eritrea. Trascorrerà due anni nei campi profughi in Etiopia, attraverserà il Sudan. Poi la Libia.

Inizia a raccontarmi della prigionia in Libia. Ed è sempre lo stesso copione: le ragazze con le quali ho parlato in questi anni sanno descrivere dettagli, sensazioni, sofferenza in un modo così chiaro che quasi la sento sulla pelle. Stimo molto il loro coraggio, la voglia di denuncia, la resilienza, penso che non sarò mai così forte nella vita ma spero di essere in grado di trasmettere questa forza a mio figlio.

Le violenze sessuali nel campo di prigionia sono quotidiane, violenze di gruppo, torture perpetrate a donne e uomini. Mare conosce un connazionale: era diventato papà da poco e Vento gli ricordava la sua bambina. Si accordano di fingersi marito e moglie per scampare alle violenze.

Ma gli aguzzini hanno sempre un Piano B, uno C e uno D. Anche questo l’ho imparato sentendo le loro storie. Quando il racconto arriva al punto di svolta e pensi “geniale amica! Ce l’hai fatta” sottovaluti che quelle menti criminale hanno in serbo sempre atroci sorprese.

“La storia del matrimonio non li ha convinti – mi racconta Mare – Ci hanno spostati in un salone enorme e davanti a tutti gli aguzzini ci hanno costretti a fare sesso più volte. C’era anche la bambina lì, una signora la teneva forte fra le braccia per non farla vedere, riuscivo a distinguere le sue urla nonostante le grida di divertimento degli spettatori”.

Ecco di nuovo quella sensazione di freddo, lo stomaco è arrivato sopra ai polmoni, forse è lui a bloccarmi il fiato. Mare resta incinta per la seconda volta, Onda nasce all’interno del campo.

Non vi racconterò i dettagli dell’uscita dalla prigione (una donna incinta è un peso in un carcere di aguzzini), la pianificazione della fuga verso l’Italia, il tempo che cambia all’improvviso, la tempesta. Ho visto più volte in tv le immagini del naufragio di novembre a Lampedusa, si sentono chiaramente le urla dei bambini. L’ho visto da spettatrice, non sapendo che a breve le nostre vite si sarebbero incrociate.

Ci tengo però a raccontarvi la fine di questa storia: una foto su whatsapp, al numero di telefono del nostro centro: Mare, Onda e Vento sorridono, strette in un abbraccio ai piedi della Tour Eiffel.

Buona vita, piccole donne. Ovunque voi siate, che la terra vi restituisca tutto ciò che vi ha tolto, a partire dalla libertà. Spero di essere in grado di restituire la vostra forza alle ragazze che continuerò ad ascoltare ogni giorno.

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