I sette euro al giorno che spettano al dipendente pubblico sotto forma di buono pasto potrebbero saltare. Il motivo? Lo smart working. La ministra per la Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, nel corso di un’audizione in commissione Affari costituzionali alla Camera, ha espresso dubbi riguardo l’utilizzo dei buoni pasti nel caso il lavoro a casa continuasse ad essere esercitato dai dipendenti pubblici. Sarebbe “difficile” concepire il riconoscimento del ticket nel momento in cui viene meno la presenza fisica in ufficio, ha osservato la ministra.

La Pubblica amministrazione ad oggi va avanti per l’85% in lavoro agile e l’obiettivo è mantenere una soglia non inferiore al 30% anche quando il coronavirus sarà vinto, ha detto Dadone. Lo smart working secondo il governo sarebbe, infatti, la formula ideale per ridurre l’inquinamento e conciliare lavoro e famiglia. Ma se diventerà stabile e usato in dose massiccia dovrà sicuramente avere un nuovo inquadramento, per gestire tutta una serie di voci che vanno dalla produttività agli straordinari.

Tra gli aspetti da rivedere ci sono proprio i buoni pasto: già ora chi è in smart working non riceve più in automatico il buono e ogni ente va per conto suo. Per la fase 3 si dovranno mettere dei paletti: “Non solo il diritto alla disconnessione”, ha sottolineato Dadone, per cui quei sette euro “non si connettono così tanto” con la paga di chi presta servizio da remoto. “Si può dire che i buoni pasto non sarebbero tanto coerenti con lo smart working se la dirigenza e le amministrazioni pubbliche non vivessero il controllo del tempo dedicato al lavoro da parte di chi lavora da remoto non come un’ossessione”, ha commentato la Funzione pubblica Cgil.

Suolo pubblico
Meno burocrazia su tutti i fronti, ha assicurato la ministra. “In vista della graduale ripresa delle attività imprenditoriali, nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale – ha detto Dadone – intendiamo adottare misure che facilitino le nuove occupazioni di suolo pubblico in particolare per i pubblici esercizi e per le attività culturali, semplificando le procedure, rese necessarie dal prevedibile permanere di forme di distanziamento“. Magari togliendo anche la tassa prevista. E poi, rimarca la ministra, “niente condoni”, ma “non è accettabile che servano una miriade di permessi per aprire una finestra”.

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