Quasi 200mila aziende hanno continuato a lavorare nonostante il lockdown poiché “funzionali” alla filiera delle attività essenziali. Circa un quarto in Lombardia, oltre il 50 per cento nelle regioni più colpite. I dati forniti dalle prefetture al Viminale tracciano la mappa di quelle fabbriche sono rimaste aperte e di quelle che, una volta controllate, sono risultate fuori regola e per questo hanno dovuto richiudere i cancelli e hanno subito un provvedimento di sospensione.

In totale nelle prefetture sono arrivate 192.443 richieste che, con la procedura snellita, hanno subito potuto riaprire. Il 55,8% delle domande è arrivato da tre regioni: Lombardia (23%), Veneto e Emilia Romagna (16,4%). In altre parole, le tre più colpite e anche le più produttive del Nord. Al centro le maggiori richieste sono arrivate da Toscana (7,9%) e Lazio (4,5%), mentre nelle regioni meridionali prima è la Puglia (3,7%) seguita dalla Campania (2%).

Le verifiche condotte fino al 24 aprile hanno riguardato 116.237 comunicazioni ed hanno portato all’adozione di 2.631 (2,3%) provvedimenti di sospensione. Per permettere la rapida ripresa delle attività economico-produttive, sottolinea il Viminale che ha pubblicato i dati sul sito del ministero, è stata prevista una procedura semplificata “che fa affidamento sul senso di responsabilità dei singoli imprenditori”.

E che consente “l’immediato avvio dell’attività con la preventiva comunicazione al prefetto”, chiamato a verificarne i presupposti solo in un secondo momento. Le verifiche, spiega ancora il ministero dell’Interno, “non devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso, che viene adottato soltanto nel caso in cui dagli accertamenti emerga l’insussistenza delle condizioni che legittimano l’esercizio dell’attività”.

IL DISOBBEDIENTE

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