Venerdì 27 marzo a Hong Kong sono stati accertati 65 nuovi casi di coronavirus in 24 ore, un record dall’inizio dell’emergenza sul territorio nazionale arrivato quando le autorità locali avevano iniziato ad allentare i divieti imposti durante la quarantena. Proprio quando la regione autonoma cinese si era convinta di aver superato praticamente indenne l’epidemia – al momento conta 518 casi e meno di dieci morti su 7,4 milioni di abitanti – e aveva dato il via alla riapertura di uffici, negozi e fabbriche l’incubo è tornato, con i casi di Covid-19 di nuovo in aumento soprattutto tra gli studenti di ritorno da località europee e dagli Stati Uniti.

Così il governo ha dovuto chiudere nuovamente l’aeroporto agli stranieri, anche a quelli solo in transito, e chi arriva dall’estero deve fare 14 giorni di quarantena. Come riferisce la rivista The Atlantic, quanto successo a Hong Kong deve essere un monito per tutti quei Paesi – tra cui anche l’Italia – che con il calo dei contagi pensano di tornare subito alla normalità. Dopo due mesi di lockdown praticamente totale, dal 15 di marzo i cittadini di Hong Kong avevano ripreso la loro vita quotidiana, i mezzi pubblici erano tornati a circolare, potevano uscire per fare passeggiate e bar e ristoranti avevano riaperto. Ma con il virus ancora in circolazione questo ha dato il via a una nuova impennata di contagi che ha costretto il governo a fare dietrofront, rimettendo l’obbligo di stare a casa e vietando gli assembramenti con più di quattro persone. La preoccupazione degli scienziati è infatti che lo stesso accada, con proporzioni ben peggiori visto i numeri attuali, poi in Europa e America dove in molti già scalpitano per la riapertura totale.

Secondo Gabriel Leung, rettore dell’Università di Medicina di Hong Kong ed esperto di epidemie, citato da The Atlantic, “la reintroduzione delle misure restrittive è la più discussa tra gli esperti e i governi mondiali. C’è bisogno di queste misure a vari gradi di intensità fino a quando si verificano l’immunità di gregge o una disponibilità sufficientemente estesa di un vaccino somministrato almeno a metà della popolazione”.

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