“Un Paese con accentuato invecchiamento della popolazione e alto debito pubblico come il nostro non ha alcuna possibilità di tornare a crescere se non rafforza il contributo del suo asse portante produttivo. Se quello crolla, tutto il sistema rischia di implodere“. Il demografo Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano, sintetizza così con ilfattoquotidiano.it la sfida che aspetta l’Italia nei prossimi dieci anni, quando i 30-34enni di oggi raggiungeranno l’apice della vita lavorativa. Con l’effetto collaterale che – come dimostra il paper firmato da Rosina con Mirko Altimari – senza interventi gli occupati nella fascia di età 40-44 anni, la “forza motrice” della nostra economia, crolleranno di oltre il 30%.

Che cosa si può fare, nel breve periodo, per evitare quel crollo?
Lo scenario più favorevole è quello di miglioramento dell’occupazione. Ma questo comunque non basta per evitare il crollo all’interno della fascia centrale lavorativa quando verrà raggiunta dagli attuali 30-34enni. Un contributo può arrivare dai flussi migratori, che però devono essere quantitativamente sostenibili e soprattutto qualitativamente ben inseriti nel modello sociale e di sviluppo del paese. I flussi di ingresso sono scesi negli ultimi anni sotto le 300mila persone e se si tiene conto dei flussi di uscita il saldo scende sotto le 200mila. Nel prossimo decennio si può pensare a un saldo che torni ad avvicinarsi alle 300mila, ma questo significa anche ridurre il flusso di uscita dei giovani italiani verso l’estero. Se l’Italia torna a investire sulle opportunità delle nuove generazioni diventa anche più attrattiva verso il capitale umano di qualità.

In che senso i migranti devono essere ben inseriti nel nostro modello sociale e di sviluppo?
Serve un modello che favorisca l’integrazione. E abbiamo bisogno di rendere più efficiente l’incontro tra le qualifiche necessarie al mercato del lavoro italiano e quelle offerte dalla manodopera internazionale. Oggi la normativa vincola l’entrata regolare per lavoro in Italia all’avere già un’offerta di lavoro nel nostro Paese: questo fa aumentare le entrate irregolari e porta poi a fare continue sanatorie per regolarizzare ex post chi, arrivato in qualche modo, è riuscito a inserirsi nel sistema produttivo. La conseguenza è però anche un alto rischio di sfruttamento nel sommerso da parte di datori di lavoro senza scrupoli, oltre che un’alta esposizione al disagio sociale per chi è nella condizione di irregolare senza lavoro.

Come andrebbe modificata la legge, dal punto di vista del demografo?
Una possibile proposta dovrebbe prevedere un nuovo approccio che favorisca canali di entrata legali, accordi con i paesi di provenienza, un sistema di sponsor in grado di offrire garanzia economica e supporto nella ricerca attiva di lavoro, condizioni (concordate in partenza) di rimpatrio assistito nel caso non venga trovato il lavoro nel tempo concesso. Aggiungerei anche con un sistema di monitoraggio e verifica dell’attuazione della nuova normativa con un processo che ne valuti, in modo rigoroso e trasparente, l’impatto sul mercato del lavoro italiano e sulla riduzione effettiva della presenza irregolare. Nessuno ha soluzioni di sicuro successo.

Tornando al “buco nero della forza lavoro” individuato dal vostro paper, da quali punti di vista i trentenni sono l’anello debole del mercato?Presentano tassi di occupazione più bassi non solo rispetto ai trentenni degli altri Paesi ma anche rispetto agli attuali quarantenni dieci anni fa. Non abbiamo mai avuto, in quella fascia d’età, così tanti Neet (under 35 che non studiano e non lavorano). E tra i Neet ci sono quelli che lavorano in nero. Poi ci sono molti sottopagati e con part time forzato. Inoltre, tra chi ha un lavoro, i salari sono più bassi ed è alto il rischio di sovraistruzione, ovvero di svolgere un lavoro che richiede un titolo di studio più basso di quello posseduto. E’ la combinazione tra inattività, carriere discontinue e basso peso demografico a renderli una forza debole nei processi di crescita del Paese, nonostante le alte potenzialità di partenza.

Perché, in partenza, hanno titoli di studio mediamente più elevati rispetto ai “fratelli maggiori”….
Sì, ma innanzitutto di laureati ne abbiamo comunque meno rispetto agli altri Paesi europei, e in secondo luogo li valorizziamo anche di meno. Con la conseguenza che troppi sono inattivi o intrappolati in percorsi di basso profilo. Così le competenze acquisite nella formazione si deteriorano o vengono disperse con la scelta di andarle a spendere all’estero. Non solo si deteriora il saper fare, ma scadono anche le motivazioni, il benessere individuale, con aumento di malessere sociale, sfiducia e frustrazione.

Nel paper mettere tra le priorità un rafforzamento delle politiche attive del lavoro, quindi i centri per l’impiego. Che altro?
Bisogna sia ridurre la debolezza dei percorsi formativi e professionali degli attuali under 35, sia ridurre la debolezza demografica di quella generazione migliorando il saldo migratorio. Solo rafforzando entrambi i fronti si può migliorare la presenza qualificata delle nuove generazioni nel mercato del lavoro per produrre sia crescita competitiva sia sostenibilità del sistema sociale. Fondamentale poi aiutare i giovani con competenze avanzate a collocarsi al meglio nel mondo del lavoro e aiutare chi non le ha a riqualificarsi, reindirizzarsi e ricollocarsi: altrimenti si rischia che l‘innovazione tecnologica si traduca nella sostituzione dell’uomo con la macchina, invece che favorire lo spostamento da mansioni routinarie e standardizzate ad attività in cui il fattore umano può dare un valore aggiunto.

Sempre nei prossimi dieci anni, mentre nella fascia centrale si forma il “buco”, aumenteranno i lavoratori senior?
La fascia over 50 continuerà a crescere dal punto di vista demografico e come occupazione, anche come conseguenza del prolungamento della vita lavorativa. Questo di per sé è positivo, ma in un Paese che invecchia non basta mantenere il posto di lavoro dei più maturi per crescere, è indispensabile potenziare il contributo che le nuove generazioni possono portare nelle età più produttive all’interno dei settori in maggiore espansione e più competitivi. E’ su questo punto che l’Italia è oggi più debole. Ed è con il crollo di tale asse portante che tutto il sistema Paese rischia di implodere.

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