Il boss che custodisce il segreto delle stragi ha rotto un silenzio lungo più di un quarto di secolo. E ha fatto il nome più atteso: quello di Silvio Berlusconi. Giuseppe Graviano sostiene di aver incontrato più volte il leader di Forza Italia. “Da latitante l’ho incontrato per tre volte“. L’ultima volta risale al dicembre del 1993, poche settimane prima dell’arresto del boss di Cosa nostra e della discesa in campo del futuro presidente del consiglio. In quell’occasione, dice sempre il padrino, “con Berlusconi abbiamo cenato insieme. È accaduto a Milano 3 in un appartamento”. All’imprenditore di Arcore, sostiene sempre il boss di Brancaccio, erano finiti i soldi di suo nonno e di altri palermitani che negli anni ’70 avevano investito nell’edilizia in Nord Italia. Anzi: a sentire Graviano Berlusconi aveva anche rapporti economici con Totuccio Contorno, uno dei primi pentiti di Cosa nostra. Rischia di provocare un vero e proprio terremoto la deposizione del capomafia di Brancaccio, l’uomo che custodisce i segreti delle bombe del 1992 e 1993. Dopo il prologo di due settimane fa, Graviano ha continuato la sua deposizione durante il processo ‘Ndrangheta stragista, in corso davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria, dove è accusato dell’omicidio di due carabinieri. Non è un pentito, ma un mafioso stragista sepolto al 41 bis da molteplici ergastoli. Non è un collaboratore ma un imputato: come tale può mentire. E infatti nega praticamente ogni accusa. Sostiene che “sono state fatte leggi incostituzionali, perché la corte costituzionale li sta dichiarando incostituzionale”. Quali leggi? “Quelle fatte per non farci uscire dal carcere, dopo che ci hanno accusato delle stragi“.

“Mio nonno investì al nord” – Graviano parla per sei ore e mezza e di nuovo – come due settimane fa – dice al pm di conoscere la soluzione di vari misteri: “Le darò gli elementi da cui lei potrà trovare l’agenda rossa e chi ha ucciso il poliziotto D’Agostino”. Parole che rimangono sospese senza alcuna spiegazione. Ma se nella prima parte della sua deposizione, il boss ha parlato genericamente di “imprenditori del nord”, questa volta ha pronunciato esplicitamente il nome di Silvio Berlusconi. Lo ha fatto confermando una pista battuta dal pool della procura di Palermo che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia: Filippo Quartararo, nonno materno del boss di Brancaccio, è il primo contatto tra la famiglia e i palermitani che hanno investito denaro a Milano. “Negli anni ’70 mio nonno aveva messo i soldi nell’edilizia al nord. Mio nonno materno, Quartanaro Filippo, era una persona abbastanza ricca. Era un grande commerciante di ortofrutta. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito”, spiega Graviano al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.

“Venti miliardi al 20%” – La smentita dell’avvocato Niccolò Ghedini e l’annuncio di querele sono arrivate praticamente a udienza in corso. Nell’aula, però, era già calato il silenzio. Graviano, infatti, ha continuato a parlare ed è entrato nel dettaglio degli investimenti citati: “Venti miliardi di lire con il venti percento. Mio nonno si rivolge a mio papà e mio papà dice: io non faccio queste cose. Quindi quando Di Carlo dice che mio papà aveva queste società a nord Italia dice una bugia: era mio nonno“, ci tiene a specificare il padrino di Brancaccio. Quei soldi investiti a Milano, quindi, non erano del padre mafioso ma del nonno benestante: una precisazione cui Graviano dimostra tenere molto. Ma la parte principale dell’interrogatorio deve ancora arrivare: “Quando è morto mio padre, mio nonno mi prese in disparte e mi disse ‘Io sono vecchio e ora te ne devi occupare tu. Poco dopo mio nonno, che aveva più di 80 anni, morì”. Il vecchio Quartararo muore nel 1986, Michele Graviano, padre di Giuseppe nel 1982. In quei quattro anni Graviano sostiene di aver avuto il tempo di fare la conoscenza di Berlusconi. “Dopo la morte di mio padre, mio nonno mi dice: c’è sta situazione, io sto andando avanti. Tuo papà non vuole che mi rivolgo a voi. Io e mio cugino Salvo abbiamo detto: ci pensiamo. Ci siamo consigliati col signor Giuseppe Greco. E abbiamo deciso di sì e siamo partiti per Milano. E mio nonno ci ha presentato al signor Berlusconi, abbiamo capito cosa era questa società”.

“Ho incontrato Berlusconi all’hotel Quark” – L’interrogatorio di Graviano diventa serrato. Il pm chiede dettagli su quel primo incontro con Berlusconi: “Se non erro era l’Hotel Quark“a Milano. Chi c’era? “Mio cugino Salvatore, mio nonno Quartaro Filippo“. Berlusconi era da solo. “Sì”, risponde Graviano, aggiungendo subito: “Poi io casco latitante, quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. Insomma a sentire Graviano, il nonno aveva investito in modo occulto denaro nelle società dell’imprenditore di Arcore. E quegli investimenti sarebbero poi stati ereditati da lui e dal cugino. “Per adesso va bene, però noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, dice sempre il boss, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, dice riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che sembra essere un vero e proprio messaggio: su quello che dice il padrino di Brancaccio sostiene esistano addirittura delle prove.

“Ho cenato con Berlusconi” – La figura del cugino Salvatore, morto di tumore nel 2002, compare nei racconti di Graviano durante l’incontro in carcere con Fiammetta Borsellino. Il boss di Brancaccio aveva detto alla figlia del giudice assassinato: “Lo dicono tutti che frequentavo Berlusconi, più che io era mio cugino che lo frequentava”. A Reggio Calabria conferma: “Era mio cugino Salvatore che aveva questi incontri. Io al massimo Berlusconi tre volte l’ho incontrato. Tramite mio cugino avevamo un rapporto bellissimo”. L’ultima risale al dicembre del 1993. “C’è una riunione a Milano. A fine del 1993, dicembre, si è arrivato alla conclusione che si regolarizzava questa situazione. E si fissa un appuntamento nel febbraio del 1994“. È durante quell’incontro alla fine del 1993 che Graviano sostiene di essersi seduto a tavola con l’ex presidente del consiglio: “È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi”. C’era qualche altra persona? “C’era ma io non l’ho riconosciuta. Discutiamo di formalizzare le società”.

“Berlusconi disse a mio cugino che aveva pronto il partito già nel 1992” – Ma Berlusconi sapeva che stava incontrando un latitante? “Non lo so, penso di sì. Lo sapeva come mi chiamavo“, dice il padrino. Che ci tiene a specificare come da ricercato si muovesse tranquillamente sotto la Madonnina: “Io ho condotto la mia latitanza tra shopping in via Montenapoleone e teatri, insomma facevo la bella vita”. Il racconto di Graviano è pieno di colpi di scena. Per esempio: quell’appartamento dove i Graviano incontrano Berlusconi sarebbe stato nelle disponibilità del cugino del boss di Brancaccio. “Mio cugino mi ha detto: sai mi hanno dato un appartemente a Milano 3”. Graviano ha trascorso in quella casa parte della sua latitanza? “La mia latitanza era a Omegna. Serviva a mio cugino per quando saliva a Milano“. Il pm continua a incalzare il mafioso: “Quando vi incontrate a Milano 3, ricava la certezza che i 20 miliardi sono stati investiti e tra i 20 miliardi c’era Milano 3? “Tutto quello che aveva fatto, c’era le televisioni, Canale 5″. La pubblica accusa ha contestato a Graviano l’ormai nota intercettazione in cui il boss dice al compagno d’ora d’aria Adinolfi: “Nel 1992 Berlusca mi chiese questa cortesia, lui già voleva scendere”. A cosa si riferiva il padrino? Non lo dice. Spiega solo che “nel 1992 Berlusconi annunciò a mio cugino Salvo che voleva entrare in politica. Io non lo incontrai, ma lo incontrò mio cugino Salvo a cui Berlusconi parlò di questo progetto di entrare in politica“. Poi specifica un passaggio cruciale per gli inquirenti: “Nel 1992, no come dicono nel 1993. Già il partito era preparato nel 1992. Prima della strage di Capaci”. E dunque quando la Prima Repubblica era ancora lontana dall’essere travolta da Tangentopoli: a cosa doveva servire un nuovo partito già all’epoca?

“Berlusconi è un traditore” – Di sicuro c’è che nel gennaio del 1994 Graviano viene arrestato a Milano insieme al fratello Filippo. Un arresto che definisce “anormale“. E spiega pure perché nelle intercettazioni in carcere definisce Berlusconi “un traditore“: “Perché quando si parlò della riforma del Codice penale e si parlava di abolizione dell’ergastolo mi hanno detto che lui chiese di non inserire gli imputati coinvolti nelle stragi mafiose”. Il pm gli contesta le intercettazioni del 19 gennaio 2016, quando conversando con Adinolfi, dice: “Berlusconi prese le distanze e fece il traditore” .Oggi ha confermato quella frase e ha spiegato i motivi di quel tradimento. “Un avvocato di Forza Italia mi disse che stavano cambiando il Codice penale – dice ancora Graviano – e che doveva darmi brutte notizie. Perché in Parlamento avevano avuto indicazioni da Berlusconi di non inserire quelli coinvolti nelle stragi. Lì ho avuto la conferma che era finito tutto. Mio cugino Salvo era morto nel frattempo per un tumore al cervello. E nella riforma del Codice penale non saremmo stati inseriti tra i destinatari dell’abolizione dell’ergastolo”. E aggiunge: “Questo mi portò a dire che Berlusconi era un traditore”. Di più, Graviano si lamenta anche per come è andata l’avventura politica di Berlusconi: “Dopo quello che ha fatto mio nonno per lui… non solo economicamente. Visto che io ho rapporti economici, e lui politici, e le confidenze che avevamo… certo che potevamo avere soddisfazioni, ma non di criminalità ma di cose belle, perché l’Italia potrebbe essere il migliore paese del mondo”.

“Quando dico non volevano più le stragi non dico Berlusconi” – Durante la sua deposizione Graviano ha spiegato che quando, in una delle intercettazioni dice “non volevano più le stragi“, non si riferiva a Berlusconi.”Quando dico ‘non volevano le stragì parlo di quello della montagna nelle intercettazioni è chiaro, non di Berlusconi”. Nell’intercettazione si legge: “nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450″. E ancora: “Non volevano più le stragi… la montagna mi diceva, è troppo”. E oggi ha spiegato che il riferimento non è a Berlusconi. “Io parlo a quello della Montagna. La montagna sono i napoletani”.

“Io adesso sto dicendo solo qualcosa” – Graviano non cita quasi mai Marcello Dell’Utri. Il pm glielo fa notare e gli chiede perché nel 2009, chiamato a deporre al processo all’ex senatore di Forza Italia, Graviano si sia avvalso della facoltà di non rispondere: “All’epoca? Dotto’, veda che a me hanno ucciso il padre. Non mi faccia parlare. Avevo subito brutte situazioni. Io fiducia nella giustizia italiana non ne ho. Non è ho fiducia nella pubblica accusa e ai presidenti ora tutti indagati con la Saguto… insomma, io tutta sta fiducia nella giustizia italiana non ce l’ho. Quello che vi sto dicendo è per il benessere del Paese”. E perché allora ha fatto questa scelta ora? Dopo un quarto di secolo di silenzio? “Io adesso non sto facendo niente, io adesso sto dicendo qualcosa. Solo qualcosa , ma posso dire ancora tante altre cose”. Un altro messaggio, l’ennesimo.

Ghedini: “Da Graviano diffamazioni” – A udienza ancora in corso è arrivata la replica di Berlusconi, attraverso una nota del suo legale, Niccolò Ghedini: “Le dichiarazioni rese quest’oggi da Giuseppe Graviano sono totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie. Si osservi che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti. Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del Presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.

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