“Quando oggi penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito“. Parola di Stephan Schmidheiny, l’imprenditore svizzero condannato a 18 anni di carcere per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit in Italia e poi salvato dalla prescrizione. Schmidheiny resta ancora l’unico imputato nel processo bis, in cui solo a Vercelli è chiamato a rispondere di omicidio volontario per le morti nella filiale di Casale Monferrato della multinazionale. È attesa per oggi (venerdì) la decisione del giudice per l’udienza preliminare di Vercelli sulla richiesta di rinvio a giudizio del magnate svizzero. Un mese fa, precisamente il 28 dicembre scorso, nella sua intervista al giornale svizzero Nzz am Sonntag, Schmidheiny però rimaneva tranquillo: “Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno”.

Parlando alla testata che lo definisce “imprenditore, ambientalista e filantropo“, Schmidheiny sostiene che il suo comportamento “sarà giudicato correttamente e un giorno verrò assolto“. Nel maxi-processo Eternit Uno, Schmidheiny era stato condannato a 18 anni in primo e in secondo grado, ma poi lo aveva salvato la prescrizione. Il processo bis è stato poi spacchettato in più filoni per competenza territoriale: a Torino, l’imprenditore è già stato condannato a 4 anni per omicidio colposo in relazione al decesso di due ex lavoratori di Cavagnolo. Schmidheiny sostiene anche che “abbiamo fatto tutto il possibile e quanto era ragionevolmente esigibile secondo lo stato delle conoscenze di allora per risolvere il problema dell’amianto. Ma 40 anni dopo si viene accusati di omicidi di massa e perseguitati per decenni“, si domanda nell’intervista.

La richiesta di rinvio a giudizio a Vercelli era stata presentata dai pm Francesco Alvino e Roberta Brera e dal pm torinese Gianfranco Colace, che si era occupato del caso Eternit insieme all’allora procuratore aggiunto (ora in pensione) Raffaele Guariniello. I magistrati hanno insistito proprio sul fatto che Schmidheiny fosse invece perfettamente consapevole dei rischi che comportava la fibra di amianto, perché le conoscenze scientifiche, all’epoca, erano già disponibili. Hanno poi sottolineato come l’imprenditore abbia messo in atto un programma di controinformazione affinché i lavoratori non sapessero degli effetti devastanti delle polveri.

Diversa è la versione che l’imprenditore fornisce a Nzz am Sonntag: “All’inizio pensavamo che si trattasse di diritto, di fatti, di giustizia, ma nel corso del tempo questa convinzione è evaporata. Ciò mi è pesato molto e per molto tempo. Ma poi ho capito che mi sarei dovuto occupare della mia salute mentale per difendermi da tutti questi incredibili attacchi. Mi sono reso conto di provare un odio per gli italiani e di essere l’unico a soffrire di questo odio”, ha raccontato un mese fa Schmidheiny. Per poi aggiungere nel finale della sua intervista: “Vorrei passare alla storia come qualcuno che ha pensato in anticipo, che si tratti del problema dell’amianto, dell’ambiente, del clima. Sono sempre stato un po’ più veloce degli altri“.

L’inchiesta bis riguarda i decessi legati a diverse filiali italiane dell’Eternit ed è scaturita dopo la sentenza della Cassazione che aveva dichiarato prescritto il processo per disastro doloso prima della richiesta di rinvio a giudizio negando così il risarcimento alle parti civili. Un altro filone è in corso a Napoli per gli 8 morti di Bagnoli, infine l’ultimo si sta tenendo a Reggio Emilia. La decisione attesa a Vercelli non riguarda solo il rinvio a giudizio, ma anche il capo di accusa. Se Schmidheiny dovesse essere mandato a processo per omicidio colposo (e non volontario), c’è nuovamente la possibilità che possa essere salvato dalla prescrizione.

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