Tutti assolti perché “il fatto non sussiste” i nove ex manager di Montedison, alternatisi tra il 1970 e il 1989, e accusati della morte di 11 operai impiegati nel petrolchimico di Mantova. Questa la decisione presa dalla Corte d’Appello del Tribunale di Brescia lunedì pomeriggio nell’appello bis. Una sentenza che piomba come un macigno sulle teste delle famiglie degli operai morti per mesotelioma, malattia direttamente correlata all’esposizione all’amianto, e, in un caso, per carcinoma dovuto all’esposizione al benzene. Nessun risarcimento per le parti civili: Regione Lombardia, Provincia e Comune di Mantova, sindacati, associazioni ambientaliste, Syndial e Versalis. La decisione dei giudici mette, di fatto, la parola fine a un processo iniziato nel 2011 e arrivato in Cassazione. Proprio quest’ultima con sentenza del 15 novembre 2017 aveva annullato le condanne agli ex manager Montedison, dimezzate nel processo di Appello rispetto al primo grado di giudizio, e aveva disposto un altro dibattimento per verificare di nuovo se esistesse un nesso tra gli undici decessi e le responsabilità specifiche dei singoli dirigenti del petrolchimico di Mantova. Il nuovo processo, inoltre, doveva anche ricalcolare i risarcimenti per i famigliari delle vittime. Gli ex dirigenti, come detto, sono stati tutti assolti e per uno di loro è stato disposto il non luogo a procedere poiché nel frattempo è deceduto. Fra 90 giorni i giudici depositeranno le motivazioni della sentenza.

Il processo inizia nel gennaio del 2011. A istruire il dibattimento è il sostituto procuratore Giulio Tamburini che in otto anni di indagini raccoglie e sequestra migliaia di documenti nelle sedi milanesi dell’azienda ed esamina dettagliatamente oltre duecento decessi, analizzando con cura le cartelle cliniche di ognuno, valutando in quali reparti hanno lavorato le vittime e con quali sostanze sono state maggiormente a contatto. Il giudice ammette tutte le parti civili a processo: le famiglie delle vittime, sindacati dei chimici, due aziende del gruppo Eni, la Polimeri Europa, la Syndial, il Comune e la Provincia di Mantova e la Regione Lombardia. Gli accusati si affidano a un pool di avvocati che cerca in ogni modo di smontare la tesi che i dirigenti fossero a conoscenza della pericolosità, per gli operai, delle sostanze (amianto, diossine, benzene, stirene, butadiene, acrilonitrile e dicloretano) lavorate negli stabilimenti della Montedison di Mantova. Gli ex manager sono accusati della morte di 72 operai, che diventeranno 73 nel corso del processo. Muore, infatti, per mesotelioma, un operaio, che fa in tempo a deporre davanti al giudice. Gli imputati devono rispondere di omicidio colposo, lesioni colpose gravissime e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni di lavoro.

La sentenza di primo grado arriva il 14 ottobre di sei anni fa e condanna i 10 ex manager Montedison, complessivamente, a 57 anni e tre mesi (con pene che andavano da 2 anni e 4 mesi a 8 anni e 10 mesi) per omicidio colposo di 11 operai del petrochimico mantovano e dispone 8 milioni di euro di risarcimento per le famiglie delle vittime e gli enti costituitisi parte civile. La sentenza d’appello, arrivata il 6 febbraio 2016, dimezza, di fatto, le pene per gli imputati anche perché nel frattempo sono scattate le prescrizioni dei reati per tre vittime riconosciute in primo grado. La pubblica accusa in Appello aveva chiesto venisse riconosciuto anche il reato, negato in primo grado, di omissione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro. Questo avrebbe permesso alle parti civili di ottenere risarcimenti maggiori di quelli previsti in primo grado, ma anche in appello quest’accusa è stata negata. Il processo è quindi arrivato fino alla Cassazione che nel novembre del 2017 rigetta il ricorso del procuratore generale di Brescia, che aveva chiesto pene più severe, disponendo un altro dibattimento per rianalizzare il nesso fra decessi e responsabilità specifiche e ricalcolare gli indennizzi in favore dei familiari. Lunedì 20 gennaio la decisione dei giudici: tutti assolti i nove imputati perché il fatto non sussiste.