Un dato è emerso chiaro dal Consiglio europeo con cui i leader dell’Ue hanno fallito nel trovare la quadra sul Green deal e sui nuovi obiettivi al 2050 annunciati dalla nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen: alcuni membri dell’Unione – in particolare Repubblica Ceca e Francia – vogliono il nucleare dentro un mix energetico “verde” e la Polonia, dipendente dal carbone per l’80% del suo fabbisogno energetico, ha chiesto e ottenuto obiettivi più morbidi sulla riduzione delle emissioni di CO2. L’Europa che cerca una via alla decarbonizzazione – un’economia che utilizza sempre meno le fonti fossili – deve fare i conti con la realtà concreta dei singoli Stati membri. Il Consiglio europeo ha dunque approvato “l’obiettivo di realizzare un’Ue a impatto climatico zero entro il 2050, in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi”, come si legge nelle conclusioni adottate, ma “in questa fase uno Stato membro non può impegnarsi ad attuare tale obiettivo per quanto lo riguarda”. Lo stato in questione è la Polonia e il Consiglio europeo “tornerà sulla questione nel giugno 2020”.

In Polonia sorge la più grande centrale europea a carbone (anzi a lignite), quella di Belchatow. Ha una capacità di 5.102 Megawatt (MWe) e, secondo dati dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) è l’impianto più nocivo quanto a emissioni di anidride carbonica (CO2), diossido di zolfo (SO2) e ossidi di azoto (NOx). Solo di CO2, nel 2018, Belchatow ne ha emessa 38,2 milioni di tonnellate. Per fare un confronto, la centrale elettrica di Boxberg Werk IV, in Germania, che pure produce energia dalla lignite, nel 2018 ha emesso 10,2 milioni di tonnellate di CO2.

La lignite è la forma più inquinante di carbone: in Polonia la usano sia Bełchatów che altre centrali come Turów (1.950 MWe). Ma le dimensioni di Bełchatów, che brucia 45 milioni di tonnellate di carbone l’anno e dall’entrata in attività nel 1982 ha emesso 1 miliardo di tonnellate di CO2, la rendono una vera emergenza ambientale, secondo l’Ong internazionale ClientEarth. ClientEarth nei giorni scorsi ha depositato una causa contro il gestore di Bełchatów PGE (società elettrica filiale dell’azienda statale polacca dell’energia Polska Grupa Energetyczna), chiedendo di non usare più lignite o di adottare misure che azzerino l’impatto ambientale entro il 2035 (PGE intende mantenere in funzione questa centrale almeno fino al 2044).

La Polonia ha 44 centrali a carbone per 30.398 Megawatt che emettono 127,60 milioni di tonnellate di CO2: è numero due nell’Ue-28 per numero assoluto di emissioni. La prima è la Germania, con 227,90 milioni di tonnellate di CO2 dalle sue 68 centrali a carbone (46.462 MW); terza è la Repubblica Ceca (34 centrali, 9.230 MW, 38,90 milioni di tonnellate di CO2). Per fare un confronto, l’Italia emette 25,30 milioni di tonnellate di CO2 da carbone, la Francia 6,60 milioni. La Germania però, non è dipendente dal carbone come la Polonia e in più è una leader nelle fonti rinnovabili: sole, vento e biomasse hanno generato la metà dell’energia elettrica tedesca nel secondo trimestre 2019 (secondo l’ufficio statistiche federale Destatis); la Polonia, invece, dipende per l’80% dal carbone per la sua energia elettrica. Inoltre, secondo un recente studio di Carbon Tracker, le centrali a carbone e lignite tedesche rischiano di accumulare complessivamente perdite di 9 miliardi di euro. In generale, in Unione Europea il 79% delle centrali elettriche a carbone o lignite perde soldi (5,79 miliardi di euro solo nel 2019) e la Polonia, fortemente dipendente dal carbone, non può rischiare crack del genere: per questo il governo di Varsavia ha chiesto all’Europa più tempo e più sostegno sulla transizione energetica e la decarbonizzazione. “Non possiamo dare il nostro consenso a un modello di trasformazione economica di cui soffrirà la società polacca – ha detto il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki – il costo della trasformazione dell’energia in Polonia è molto più elevato” di altri paesi. Non a caso il Consiglio europeo si è detto “compiaciuto” dell’annuncio della Commissione europea di facilitare investimenti dal valore di 100 miliardi di euro attraverso il meccanismo per una transizione giusta e ha sottolineato che “i finanziamenti a favore degli sforzi di trasformazione devono proseguire dopo il 2030”.

Lo stesso Consiglio europeo ha riconosciuto “la necessità di garantire la sicurezza energetica e rispettare il diritto degli Stati membri di decidere in merito ai rispettivi mix energetici e di scegliere le tecnologie più appropriate. Alcuni Stati membri hanno dichiarato di ricorrere all‘energia nucleare nell’ambito del loro mix energetico nazionale”. Il percorso dell’Europa verso la decarbonizzazione si farà dunque anche grazie all’energia nucleare. Una concessione al pressing di Francia e Repubblica ceca: “L’energia nucleare è pulita, senza alcuna emissione. Non so perché molti Paesi hanno un problema con questo”, ha dichiarato il premier ceco Andrej Babis. Anche per il presidente francese Emmanuel Macron il nucleare è un settore “verde”. Nel 2018 nell’Ue-28 il 26% dell’elettricità è prodotta col nucleare, secondo dati della World nuclear association. In Ue sono in funzione 129 reattori nucleari in 14 stati, ma la Francia produce da sola la metà di tutta l’energia nucleare dell’Ue (395,9 Terawattore su 787 totali). Gli altri grandi produttori sono, nell’ordine, Germania (71,9 TWh), Svezia, UK, Spagna, Repubblica ceca (28,3 TWh) e Belgio.

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