Il governatore influenzato da un pensionato, vicino ai clan di ‘ndrangheta. Un uomo che il presidente chiamava “capo“. E persino un incontro tra lo stesso presidente e il capo della “locale”, cioè la cosca attiva ad Aosta, documentato dagli investigatori. Ma d’altra parte sono ben tre gli ex presidenti che cercavano l’appoggio dei boss alle elezioni. Non siamo in Calabria ma in Val d’Aosta, dove secondo le indagini della procura di Torino la politica avrebbe cercato – e trovato – l’appoggio dei clan mafiosi della cosca “locale” di ‘ndrangheta. È un vero e proprio colpo di scena quello andato in onda al tribunale del capoluogo piemontese, dove oggi è cominciato il processo sulle inflitrazione della ‘ndrangheta nella piccola Regione a confine tra Italia e Francia. Nel gennaio scorso l’operazione aveva portato a 17 arresti, tra cui quello di un consigliere regionale. Parallelamente al processo i pm stanno cercando di fare luce sui tra alcuni candidati alle elezioni e personaggi legati alla ‘ndrangheta. L’ipotesi di reato è corruzione elettorale.

Nella nota trasmessa a intergrazione nelle nuove carte, il pm Valerio Longi scrive: “Il sodalizio mafioso di matrice ‘ndranghetista capeggiato dai fratelli Marco e Roberto Di Donato è riuscito a influenzare le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Valle d’Aosta del 20 maggio 2018. Infatti è riuscito a condizionare le scelte elettorali di una parte degli elettori al fine di soddisfare gli interessi o le esigenze del sodalizio”. Poi il pm descrive il ruolo del governatore, Antonio Fosson, già senatore dell’Union Valdôtaine e presidente del consiglio regionale. “Da sottolineare che Antonio Fosson saluta Giuseppe Petullà chiamandolo sempre ‘capo‘ e sembra incredibile che un semplice anziano pensionato di origine calabrese possa influenzare, anzi dettare, la linea politica di un ex senatore della Repubblica italiana e assessore regionale come Antonio Fosson”.

Chi è questo Petullà che il governatore chiamava “capo”? Si tratta, continua il pm, di un “soggetto vicino ad esponenti del ‘locale” di Aosta quali Antonio Raso e Marco Di Donato”. I carabinieri hanno anche documentato un incontro tra Fosson e Raso, nel ristorante di quest’ultimo, “per parlare delle elezioni regionali, ma il discorso avviene a voce bassissima e si riescono a comprendere solo brevissimi passaggi”. Ma non solo. Perché per il pm “alle elezioni del maggio 2018 la locale di Aosta ha sostenuto i candidati di tutti i principali partiti autonomisti“. La strategia del sodalizio ndranghetista era di “godere di un debito di riconoscenza da parte degli esponenti dei maggiori partiti autonomisti valdostani” e di “avere un maggior numero di consiglieri fedeli nel consesso regionale”. Secondo gli inquirenti l’attivitò elettorale dei clan “si è svolta in favore di Laurent Viérin (Union valdotaine progressiste), di Luca Bianchi, Marco Sorbara, Augusto Rollandin e Renzo Testolin (Union valdotaine), Stefano Borrello (Stella alpina) e Antonio Fosson (Area Civica). Inoltre viene rilevato un “interessamento” del ‘localè alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 volto a favorire Albert Laniece e Giampaolo Marcoz”.

Ma non solo. Perché nella sua nota il evidenzia: “Sono tre gli ex presidenti della Regione Valle d’Aosta (Augusto Rollandin, Laurent Viérin e Pierluigi Marquis, ndr) che nel corso della campagna elettorale si incontrano o cercano di incontrare proprio i fratelli Di Donato, quindi coloro che durante l’indagine Geenna è emerso essere ai vertici del ‘locale’ di ‘ndrangheta di Aosta”. A Di Donato, continua il magistrato, “è riconosciuta dai politici una ‘leadership‘ in seno alla comunità valdostana di origine calabrese e quindi ritenuti capaci di catalizzare numerose preferenze elettorali condizionando la vittoria o meno di un partito. Il fatto che gli ultimi tre presidenti della Regione, che hanno anche attribuzioni prefettizie, si incontrino e anzi cerchino addirittura due fratelli pluripregiudicati la cui parentela con la famiglia Nirta è notoria, è quantomeno allarmante“. Dalle carte emergono anche le minacce al consigliere regionale Alberto Bertin, simbolo della battaglia per la legalità. “Quello combina danni…ha fatto danni e continuerà a fare danni…”, dice di lui, parlando al telefono, Antonio Raso. E nei confronti di Bertin, Raso non risparmia vere e proprie minacce: “Finché qualcuno non gli fa i ‘mussi tanti (cioè gli gonfia la faccia ndr)… e ti dirò qualcuno gli farà i ‘mussi’ tanti, perché è già sul pelo del rasoio…se le è sgravitata un paio di volte…”.

Il governatore Fosson si dichiara innocente: “Ho appreso dagli organi di informazione che, nell’ambito dell’udienza preliminare in corso al Tribunale di Torino, sarebbero stati prodotti atti nei quali si farebbe riferimento anche alla mia persona. In proposito manifesto la mia assoluta serenità e la fiducia nella Magistratura che non potrà che accertare la mia totale estraneità. A questo proposito dichiaro la mia assoluta estraneità. Ogni diversa valutazione sarà presa nel momento in cui sarà noto il contenuto degli atti”.

In totale sono 19 gli imputati al processo sulla ‘ndrangheta delle Alpi. Tra gli imputati principali c’è il boss Bruno Nirta (detto “La bestia”), referente della cosca Nirta-Scalzone di San Luca, al consigliere regionale Marco Sorbara (eletto nelle fila dell’Union valdotaine), Monica Carcea, l’assessore di un piccolo comune alle porte di Aosta e l’avvocato torinese Carlo Maria Romeo. Le accuse, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, estorsione tentata e consumata, traffico di droga, detenzione e ricettazione di armi, tentato scambio elettorale politico-mafioso. Hanno chiesto di costituirsi parte civile la Regione Valle D’Aosta, il Comune di Aosta, il Comune di Saint Pierre, l’associazione Libera.

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