Il conto da pagare, ogni anno (dal 1998 al 2017), è stato di circa 16mila morti e 142 miliardi di dollari. Nonostante questo, le venti maggiori potenze economiche del mondo, Italia compresa, non stanno facendo abbastanza contro il riscaldamento della Terra. Nel gruppo rientrano: Argentina, Australia, Brasile, Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Turchia e Stati Uniti. E se la peggiore nella lotta contro il global warming è l’Australia, anche l’Italia non fa abbastanza: deve migliorare in particolare sulle emissioni nei trasporti e nel mondo dell’edilizia. In generale, secondo il rapporto annuale di “Brown to green” di Climate Transparency che ha analizzato 80 indicatori, le pagelle sono brutte per tutte le principali potenze economiche mondiali e nessuno dei Paesi del G20 sta facendo abbastanza per limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C, l’obiettivo numero uno previsto dall’accordo di Parigi sul clima del 2015.

Anzi, secondo lo studio, le emissioni globali sono aumentate ancora rispetto allo scorso anno: quelle di biossido di carbonio legate all’energia sono aumentate dell’1,8% nei 19 Paesi industrializzati e nelle economie emergenti che compongono il G20, con l’Unione Europea. Insieme, sono responsabili dell’80% circa delle emissioni globali di gas serra. Il Gruppo dei 20 deve tagliare le emissioni di almeno il 45% nel 2030 (sotto i livelli del 2010) e azzerarle nel 2070.

Nel focus sull’Italia, il rapporto ricorda che in generale le emissioni di gas serra pro capite nel 2016 sono state lievemente sotto la media del G20 (6,8 tonnellate contro 7,5, con un trend dal 2011 in calo del -16%). Ma nel 2018 nei trasporti (1,67 tonnellate di CO2) e nel settore edilizio (inclusi riscaldamento, cucina e consumo di elettricità per un totale di 1,8 tonnellate di CO2) sono risultati superiori alla media. Male anche per quanto riguarda la cura della superficie verde: dal 2001 al 2018 l’Italia ha perso 299 chilometri quadrati di boschi (-3,2% dal 2000), quando le foreste dovrebbero essere un serbatoio per le emissioni.

D’altro canto, rimangono troppo alti i fondi per i combustibili fossili (11,6 miliardi di dollari nel 2017 contro i 3,1 miliardi del 2008) nonostante l’Italia abbia presentato una revisione sul tema. Il nostro Paese, dice la ricerca, non ha ancora ideato una tabella di marcia per la loro graduale eliminazione, che dovrebbe arrivare al più tardi nel 2025, dead line anche per l’abbandono del carbone. Fra i suggerimenti, sviluppare una carbon tax o un sistema di scambio di quote di emissione a livello nazionale, vietare entro il 2025 nuovi veicoli a carburanti fossili, eliminare gradualmente le emissioni dal trasporto merci entro il 2050 e sviluppare una strategia a lungo termine che preveda una diminuzione della domanda di auto private e favorisca trasporti pubblici, car sharing, biciclette. Da elaborare anche una strategia per la ristrutturazione degli edifici in termini di efficienza energetica. Ad oggi, i combustibili fossili rappresentano il 79% del mix energetico del Paese, mentre le energie rinnovabili sono il 40%.

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