I primi cento ragazzi sono pronti a cominciare a lavorare. Potranno utilizzare attrezzature che rispettino tutti i canoni di sicurezza, avere un contratto regolare secondo le disposizioni provinciali, con orari di lavoro definiti e pause previste per legge, oltre a un alloggio in strutture che abbiano tutti gli standard di idoneità e al servizio di trasporto abitazione-lavoro, sostitutivo dei “furgoni-killer”. Si tratta della prima filiera etica in Italia contro il caporalato. Il progetto è frutto della collaborazione tra l’associazione internazionale NoCap, il gruppo Megamark di Trani, che gestisce 500 supermercati, e una trentina di produttori nel settore agricolo. La sperimentazione, che coinvolgerà, per ora, tre aree, la Capitanata in Puglia, in provincia di Foggia, dove si raccolgono pomodori che diventano passate e pelati, il Metapontino in Basilicata, dove si raccolgono prodotti freschi, e il Ragusano in Sicilia, in cui vengono coltivati alcuni tipi di pomodori, permetterà alle vittime di caporalato che vivono nei ghetti per braccianti, di essere regolarizzati, avere un’occupazione e ottenere anche il permesso di soggiorno per motivi lavorativi.

Una delle grandi novità del progetto, spiega Yvan Sagnet, fondatore di NoCap, è quella di aver portato la lotta al caporalato, allo sfruttamento dei braccianti, ma anche dei produttori, nella grande distribuzione che solitamente “strozza” i contadini imponendo prezzi di acquisto troppo bassi per portare avanti il proprio lavoro nel rispetto delle leggi. È così che è stato creato il marchio “Iamme”, certificato dall’associazione, che a breve comparirà in alcuni supermercati del Mezzogiorno, come A&O, Dok, Famila, Iperfamila e Sole365, con cinque tipologie di conserve di pomodoro biologico, frutta e verdura fresche: “Lavoriamo a questo progetto da tanti mesi – spiega Sagnet a Ilfattoquotidiano.it – Il gruppo Megamark ha deciso di investire in questo progetto che ha lo scopo di portare nella grande distribuzione prodotti realizzati seguendo tutti gli standard etici e di rispetto delle leggi sul lavoro, cercando di mantenere un prezzo di vendita che non renda i prodotti fuori mercato”.

Una volta trovato l’accordo con la distribuzione, sono stati i membri di NoCap a proporre il progetto tra i produttori e a occuparsi del reclutamento dei primi ragazzi: “Il distributore ci ha fatto sapere di che tipo di prodotti aveva bisogno e noi ci siamo occupati di contattare e incontrare gli agricoltori proponendo il nostro sistema di produzione – continua Sagnet, tra gli organizzatori del primo grande sciopero di braccianti a Nardò, nel 2011 – Noi certifichiamo queste aziende inserendole nella filiera NoCap e selezioniamo personalmente i dipendenti“.

I ragazzi sono stati scelti all’interno delle decine di ghetti sparsi per il Paese, in particolar modo al Sud, tenendo in considerazione diversi elementi: “Abbiamo scelto persone che vivono nelle baracche, per portarli via dalle grinfie del caporalato – continua il fondatore dell’associazione – Tra loro, abbiamo privilegiato coloro che hanno il permesso di soggiorno in scadenza che, con il nuovo decreto Sicurezza, rischiavano di non vedere rinnovato. In questo modo, potranno ottenere un contratto regolare e trasformare il proprio permesso umanitario in un permesso per motivi di lavoro”. Per esempio nel foggiano sono stati selezionati una quarantina di braccianti per la raccolta dei pomodori. Di questi una decina proviene dal ghetto di Borgo Mezzanone, altrettanti dal ghetto di Cerignola mentre alcuni provengono da Casa Sankara di San Severo.

Per iniziare, sono cento i giovani selezionati, provenienti da Ghana, Senegal, Mali, Burkina Faso, Gambia e Costa d’Avorio, ai quali è stato procurato un contratto di lavoro. Vedranno rispettati tutti i loro diritti in tema di salari, orari di lavoro, visite mediche obbligatorie, formazione e utilizzo di indumenti e strumenti idonei all’attività che andranno a svolgere. L’idea, confessa però Sagnet, è quella di riuscire presto a far crescere il numero di persone assunte nel circuito creato da NoCap: “A causa dell’abolizione del permesso per motivi umanitari – continua l’attivista – i ghetti si stanno ripopolando. Tutti coloro che diventano irregolari, non potendo contare su altre fonti di sostentamento, si nascondono nei ghetti e finiscono nelle mani di sfruttatori e nel circolo del lavoro nero e a basso costo. Così, noi diamo loro un lavoro e anche un alloggio, grazie al supporto offerto dalle Caritas che hanno messo a disposizione le loro strutture sparse per il territorio”.

Chi rimane fuori, però, sono gli illegali perché non possono ottenere un regolare contratto di lavoro: “Abbiamo pensato anche a loro – dice Sagnet – Una parte dei ricavati dal nostro progetto servirà a mettere in piedi un’importante attività di denuncia e spingere per una riforma a livello europeo. Ma ci serve tempo per partire”.

Sono circa una trentina le aziende produttrici che hanno deciso di aderire all’iniziativa lanciata da NoCap: “Se decollasse e prendesse ancora più campo – conclude Sagnet -, questo progetto favorirebbe anche loro. Avrebbero l’opportunità di produrre in maniera sostenibile, nel pieno rispetto della legge e dei diritti dei lavoratori senza essere soffocati dai prezzi imposti dalla grande distribuzione”.

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