L’incontro tra il presidente iraniano Hassan Rohani e l’omologo americano Donald Trump a margine della prossima Assemblea generale Onu, se mai è stato in agenda, ora è saltato. E il livello di tensione in Medio Oriente, dopo gli attacchi dei ribelli filo-iraniani Houthi a due impianti petroliferi sauditi, sta salendo ulteriormente con conseguente terremoto sui mercati petroliferi. La Ue parla di “vera minaccia alla sicurezza regionale” e auspica che in attesa di stabilire le responsabilità ci sia “massima moderazione”. Ma Washington ha già individuato il presunto colpevole, l’Iran. Che smentisce e reagisce duramente: lunedì le unità navali dei Pasdaran iraniani hanno sequestrato nello stretto di Hormuz una nave sospettata di contrabbandare gasolio verso gli Emirati Arabi Uniti e nell’operazione è stato fermato anche l’equipaggio. Si tratta del secondo sequestro di questo tipo nel giro di pochi giorni: il 7 settembre una barca sospettata di contrabbandare carburante è stata confiscata e i 12 membri filippini dell’equipaggio sono stati arrestati.

Le accuse statunitensi, domenica non circostanziate, oggi sono supportate da foto satellitari diffuse dall’amministrazione Usa che dimostrerebbero come il raid di sabato sia partito da nord o nord ovest, quindi dall’Iran o dall’Iraq. E non – spiega il New York Times – dallo Yemen, da dove gli Houthi, i ribelli locali sostenuti da Teheran, hanno rivendicato gli attacchi con droni. “Non ci sono prove che gli attacchi siano partiti dallo Yemen”, ha detto alla Cnn una fonte dell’amministrazione americana, citando a conferma della sua tesi il punto in cui sono stati attaccati gli impianti e il numero di obiettivi colpiti: “Non si possono colpire 19 obiettivi con 10 droni come quelli”. Senza contare che “tutti i punti di impatto sugli impianti sauditi erano nella parte nordoccidentale, qualcosa che è difficile da fare dallo Yemen”. Una tesi confermata anche da esperti di intelligence che hanno avuto accesso a immagini satellitari private. E anche le prime indagini condotte dall’Arabia Saudita suggeriscono che gli attacchi “non sono stati lanciati dallo Yemen” e che sono state utilizzate “armi iraniane”.

Quanto alle ricadute sull’economia, il presidente Usa ha minimizzato: “Poiché abbiamo fatto così bene sull’energia negli anni recenti (grazie, signor presidente!), siamo una rete d’esportazione d’energia, e ora il produttore numero uno di energia nel mondo”, ha detto. “Non abbiamo bisogno di petrolio e gas del Medioriente, e in realtà abbiamo pochissime petroliere là, ma aiuteremo gli alleati!”.

Gli Houthi, attraverso il portavoce, hanno ribadito la rivendicazione aggiungendo che gli impianti petroliferi della Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita, sono ancora un obiettivo e potrebbero essere attaccati in “qualsiasi momento” fino a quando Riad fermerà la sua “aggressione” allo Yemen. Il riferimento è all’intervento della coalizione militare guidata da Riad nel conflitto tra ribelli sciiti e forze governative.

L’Iran, oltre a smentire che sia in programma un colloquio tra Trump e Rohani, fa sapere di nutrire scarse speranze nell’intermediazione europea: “L’esperienza dei colloqui degli ultimi 16 mesi con gli Stati europei sull’esigenza di adempiere ai loro obblighi per salvare l’accordo nucleare indica che non ci sono speranze del rispetto degli impegni da parte dell’Ue. Ma in ogni caso l’Iran ha sempre lasciato aperta la finestra della diplomazia“. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica islamica, Abbas Mousavi, i Paesi europei hanno bisogno del “permesso” americano per mettere in atto la proposta francese di una linea di credito di 15 miliardi di dollari per compensare le sanzioni Usa.

Mosca dal canto suo condanna “fermamente” gli attacchi e “ogni azione capace di colpire le forniture e la domanda di carburante provocando una nuova ondata di instabilità nel mercato mondiale degli idrocarburi con le conseguenti ripercussioni negative sull’economia mondiale”, ma invita ad evitare “conclusioni affrettate” su chi li abbia perpetrati: “Riteniamo controproducente – afferma il ministero degli Esteri russo – usare questi eventi per aumentare le tensioni attorno all’Iran in linea con la ben nota politica americana. Le opzioni che prevedono l’uso della forza per ritorsione, e che a quanto si dice sono discusse a Washington, sono ancora più inammissibili“.

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