Fondatore e leader di Ansar Al Islam e di Rawthi Shax pregò per gli stragisti islamici entrati in azione nella redazione di Charlie Hebdo. E non solo per questo è sempre stato considerato un uomo pericoloso per molti servizi segreti. Faraj Ahmad Najmuddin, ovvero il mullah Krekar, è stato condannato a 12 anni dai giudici della Corte d’assise di Bolzano. Krekar, che  è a piede libero in Norvegia e per cui l’Italia aveva rinunciato all’estradizione per una questione formale, era considerato dagli inquirenti il “capo spirituale” della cellula jihadista, smantellata nell’autunno 2015 a seguito dell’indagine del Ros di Trento. L’accusa aveva chiesto 10 anni per Krekar. Con lui sono stati condannati anche gli altri cinque imputati: a Rahim Karim Twana e Hamasalih Wahab Awat sono stati inflitti 9 anni, mentre per Abdul Rahman Rahim Zana, Jalal Fatah Kamil e Hamad Bakr sono stati decisi 7 anni e 6 mesi.

Per il religioso era stata revocata l’ordinanza di custodia cautelare, ma poi era stato rinviato a giudizio. Krekar ha una lunga storia giudiziaria che si incrocia anche con l’Italia. L’uomo è approdato in Norvegia nel 1991 con la famiglia e ha ottenuto lo status di rifugiato. Dopo gli attentati dell’11 settembre è stato più volte arrestato e rilasciato dalle autorità di Oslo. Dalle indagini svolte erano emersi suoi contatti con i vertici di Al Qaeda ed in una perquisizione gli è stata sequestrata un’agenda che conteneva il numero telefonico di Al Mussab Al Zarqawi. Secondo alcune inchieste giornalistiche, Krekar sarebbe stato anche oggetto anche di un tentativo della Cia – sventato dalle autorità norvegesi – di prelevarlo in un’operazione di extraordinary rendition simile a quella fatta a Milano per Abu Omar

Lo scorso novembre erano state depositate le motivazioni con cui la Cassazione aveva confermato le condanne per i quattro imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Per gli ermellini gli imputati erano da considerare terroristi. Perché il loro obiettivo non era la ribellione del popolo curdo contro un oppressore, ma la sua sottomissione alla sharìa. Creando una teocrazia, un califfato islamico anche “con azioni di combattimento e di martirio indiscriminato” e “anche” coinvolgendo “civili”. Mentre erano usciti dall’inchiesta per archiviazione gli altri uomini che erano stati arrestati nell’operazione del Ros del 19 novembre 2015.

Se è vero che, ragionavano i giudici della suprema Corte, per Krekar era fondamentale la preparazione ideologica degli adepti – attraverso la chat room dell’organizzazione – è anche vero che Rawthi Shax, rispetto ad Ansar Al Islam, è nata in Europa e aveva come missione l’intervento in Kurdistan raccogliendo proseliti e finanziamenti, mimetizzandosi anche nelle forze di polizia e nelle intelligence occidentali, e anche inviare combattenti.

Senza considerare le intercettazioni in cui si parlava di attentati. Che poi gli atti non fossero in preparazione in Italia questo non depotenzia il reato. Conta, scrivevano gli ermellini in motivazione, la “precisa volontà di contribuire – come gruppo e come singoli aderenti – alla realizzazione di uno o più atti di violenza con matrice terroristica” e “tali attività, sia pure prospettiche vanno, dunque, individuate e qualificate e possono consistere anche in atti di terrorismo compiuti in altre regioni del mondo, essendo rilevante a fini di punibilità che la condotta partecipativa sia commessa, in tutto o in parte, in territorio italiano“. E la cellula smantellata era operativa tra Merano e Bolzano. 

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