I microscopi sono strumenti indispensabili per la ricerca scientifica, ma quelli elettronici attualmente in uso, sebbene ad alta risoluzione, non bastano più. È per questo che la Commissione Europea ha finanziato il progetto Chipscope, coordinato dalla Spagna e a cui partecipa l’Italia. Si concluderà a dicembre 2020 e il suo scopo è realizzare un microscopio delle dimensioni di chip per computer. Utilizza un insieme di diodi emettitori di luce (LED) di diametro inferiore a quello di un capello umano, per illuminare l’oggetto osservato. Il risultato dovrebbe essere un prodotto semplice, facile da usare e conveniente, oltre che estremamente efficace.

Per capire da dove nasce il problema e qual è l’esigenza da soddisfare, è bene sapere che la risoluzione ottenibile con i microscopi ottici convenzionali è limitata dalle leggi della Fisica che governano la lunghezza d’onda della luce. Questo impedisce di usarli per osservare direttamente singole proteine, molecole di DNA o di vedere all’interno di cellule viventi. Usando microscopi elettronici complessi, costosi e molto ingombranti si possono fare solo osservazioni indirette, ossia interpretare i dati rilevati dai macchinari.

 

Chipscope è piccolo quanto un chip del computer, il che permette di effettuare analisi anche lontano dai laboratori attrezzati. Inoltre consente l’osservazione diretta e in tempo reale dei cambiamenti che avvengono nelle cellule viventi. Le potenziali applicazioni spaziano in una vasta gamma di campi scientifici e di ricerca. Ad esempio, potrebbe sbloccare la ricerca in ambiti, come la medicina, strettamente legati alle potenzialità dei microscopi ottici. La prima versione del microscopio Chipscope è stata assemblata a dicembre 2018 e i ricercatori lo stanno usando per studiare lo sviluppo della fibrosi polmonare idiopatica nel tessuto vivente, una malattia polmonare cronica che uccide ogni anno 500.000 persone in tutto il mondo.

Il basso costo rende la tecnologia accessibile anche ai ricercatori dei paesi in via di sviluppo. Una volta che la tecnologia sarà consolidata, non è da escludere nemmeno un impiego più frivolo, come l’integrazione nei prodotti di elettronica di consumo, alla stregua delle fotocamere degli smartphone.

Come funziona? Il campione da analizzare viene posizionato sui LED e al di sotto di un fotorivelatore che cattura i segnali emessi dagli array (la matrice che definisce forma e numero dei diodi). La produzione di array di LED è affidata alle moderne tecniche di fabbricazione di nanodispositivi 3D avanzati. Il fotorivelatore è un dispositivo in grado di rivelare una porzione di spettro elettromagnetico; la sua accuratezza dipende dall’intensità luminosa minima che riesce a misurare, e che in alcuni casi arriva al singolo fotone. Un esempio pratico molto diffuso è la fotocellula.

La risoluzione spaziale è fornita dai LED invece che dal sistema di rilevamento ottico dei microscopi convenzionali. Ecco perché il sistema non richiede complesse soluzioni di messa a fuoco. I LED possono essere accesi e spenti individualmente, ad alta velocità, consentendo osservazioni in tempo reale e acquisendo fino a 10 fotogrammi al secondo. Il progetto prevede anche lo sviluppo di un software per un facile controllo del pattern di luce, della luminosità e della frequenza di modulazione.

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