“L’Italia si è mossa su una linea, quella di continuare a parlare con tutti“, ha detto il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, durante la conferenza stampa congiunta con l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé. Ma è proprio questa la principale difficoltà per Roma: riunire intorno a un tavolo fazioni e attori internazionali che non hanno obiettivi comuni, tenendo conto dei difficili equilibri politici, economici, tribali e anche religiosi che influenzano le fluide alleanze nel Paese nordafricano. Se lo scontro militare tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del capo del governo di accordo nazionale sostenuto dalle Nazioni Unite, Fayez al-Sarraj, si mantiene su un equilibrio motivato anche dal sostegno esterno degli attori regionali e internazionali, a fare la differenza, come già successo nella lotta per sconfiggere la provincia interna dello Stato Islamico e, nel 2011, per spodestare il Rais Muammar Gheddafi, sono le forze di Misurata. “L’Italia ha sposato l’approccio del dialogo con tutte le parti – spiega a Ilfattoquotidiano.it Michela Mercuri, docente dell’Università di Macerata e autrice del libro Incognita Libia, cronache di un Paese sospeso (Francoangeli) -, ma sbilanciarsi troppo verso Haftar, oltre a indebolire il legame con al-Sarraj, mette il governo in contrasto con i misuratini, vicini ai Fratelli Musulmani, che il generale della Cirenaica ha più volte definito ‘terroristi’. Quella con al-Sarraj è un’alleanza di facciata, per trovare un equilibrio occorre parlare con le milizie sul campo”.

Haftar, al-Sarraj e Misurata: le tre forze in campo. “Ma dipendono dalle milizie”
Le cronache raccontano di due blocchi principali che sono andati allo scontro: le forze legate ad Haftar e quelle che proteggono la Tripoli di al-Sarraj. Terzo potere, la “città-Stato” di Misurata con le sue ambizioni d’indipendenza. A muovere le pedine sul terreno sono, però, gli appoggi esterni di cui questi gruppi riescono a godere. Tobruk riceve gli aiuti sia economici che militari di tre pezzi da novanta nella regione: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Un blocco legato anche quando si tratta di stringere alleanze nel Golfo. A questi si aggiunge il supporto della Russia e quello mal nascosto della Francia, che nei giorni scorsi si è però appiattita sulle posizioni delle Nazioni Unite chiedendo un “cessate il fuoco immediato”. “Haftar riceve i finanziamenti di sauditi ed emiratini – continua Mercuri – Ha incontrato i vertici dei due governi a Riyad ed è lì che ha ottenuto il placet per sferrare l’offensiva”. Il leader della Cirenaica può contare, dicono alcune stime, “su 70mila uomini, molti dei quali mercenari, anche se è difficile dare un numero preciso. Ha una forte milizia aerea che Misurata, ad esempio, non ha. Fino a quando avrà il sostegno degli attori regionali potrà portare avanti questa campagna militare. Se finisce il sostegno, però, finisce la campagna”.

La difficoltà principale per Haftar è quella di tenere insieme diverse milizie che combattono sotto la sua bandiera esclusivamente per motivi economici. Un problema che condivide con il suo principale avversario, al-Sarraj, anche lui appoggiato da gruppi di mercenari locali che traggono guadagno dai finanziamenti provenienti dagli alleati e dalla gestione dei centri di detenzione “ufficiali”. “Si tratta di alleanze molto labili – dice la docente -, stiamo parlando di mercenari. Prendiamo le Forze speciali di deterrenza Rada, ad esempio. A un certo punto si erano avvicinate ad Haftar, salvo poi tornare sui propri passi. Mossa simile a quella fatta dalle milizie di Zintan. Il cambio di casacca, insomma, non è mai da escludere”. Il fatto che a sostenere al-Sarraj siano soprattutto i Paesi europei, staccati dalle dinamiche interne, rende la leadership del premier di Tripoli meno salda rispetto a quella del suo avversario. Ed è anche per questo che al-Sarraj potrebbe tornare a battere cassa al di là del Mediterraneo, agitando lo spauracchio dell’invasione migratoria, così come Haftar sventola quello della lotta al terrorismo.

Il problema dei cambi di casacca non tocca, ad esempio, le forze di Misurata, dove il denominatore comune si chiama indipendenza. In un clima di sostanziale equilibrio, il loro sostegno militare può spostare l’asticella in favore di una delle due forze. Pur non ritenendosi alleati di al-Sarraj, e in alcuni casi lo hanno dimostrato non schierandosi a protezione del governo di Tripoli, si può certo affermare che i combattenti della città costiera vedano in Haftar il nemico pubblico numero uno: “Le forze di Misurata possono contare su circa 40mila uomini – dice Mercuri – sostenuti da armi e finanziamenti di Paesi molto vicini alla Fratellanza Musulmana come Qatar e Turchia. Ma qui a tenere unito il fronte non sono i soldi, ma la voglia d’indipendenza”. Di una cosa, però, Mercuri è convinta: “La situazione attuale è frutto del sostegno esterno alle diverse fazioni. Solo un tavolo di pace che includa questi attori può portare a una conclusione del conflitto“.

L’apertura ad Haftar e la paura di perdere Misurata
Proprio sull’apertura a tutti i soggetti e alla ricerca di un equilibrio che non scontenti nessuno è basata la nuova strategia del governo italiano inaugurata con la conferenza di Palermo del novembre scorso che, però, non ha portato i risultati sperati. In quell’occasione, Moavero volò da Haftar per invitarlo all’incontro siciliano. Incontro che portò alla stretta di mano tra il generale e il premier di Tripoli, con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a fare da mediatore. Nelle scorse settimane, poi, il ministro degli Esteri ha incontrato il vicepremier Ahmed Maitig, esponente misuratino, pochi giorni dopo il meeting tra Conte e un emissario dell’autoproclamato governo di Tobruk. “Gli europei potrebbero spingere per un dialogo tra Haftar e Misurata che potrebbe sbloccare la situazione – continua l’analista -, ma al momento le posizioni sono molto distanti. Molti attori del nostro continente sono ancora molto vicini alle posizioni dell’ovest, di Tripoli, con la Francia che invece ha guardato fino a ora ad Haftar. Per noi, al-Sarraj è una faccia spendibile più delle altre, ma sappiamo bene che se vogliamo raggiungere la pace dobbiamo trovare un equilibrio tra questi tre blocchi, comprese le milizie che li compongono”.

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