di Martina Martelloni

Ci sono persone che sanno percepire l’arrivo di un bombardamento aereo dai suoni crescenti che riecheggiano tra le mura di casa. In quei pochi secondi si prende consapevolezza di ciò che sta accadendo, si cerca riparo, ci si raccoglie insieme e si aspetta.

L’attesa, in Yemen, è uno stato di vivere. Si attende la fine di una guerra che dal 2015 colpisce città, villaggi ma soprattutto civili. Persone. Afra’a è una di loro, una cittadina dello Yemen che da quattro anni vive la quotidianità cercando disperatamente di sopravvivere. All’età di 34 anni ha messo al mondo suo figlio di 2,8 kg. Per farlo nascere, Afra’a ha camminato a lungo, ore ed ore con 41 settimane di gravidanza sul ventre e solo il marito ad accompagnarla. Raggiunto l’ospedale di Qafl Shamer, nel governatorato di Hajjah, territorio a nord ovest dello Yemen e tra i più colpiti dal conflitto, la dottoressa Fatema, ostetrica di Intersos, si è presa cura di lei. Afra’a è stata portata d’urgenza in sala operatoria per diventare finalmente madre.

Afra’a ha rischiato di non riuscire a vedere mai il suo bambino, di non diventare madre, di perdere lei stessa la vita. In Yemen è così, si cerca di andare avanti fra incredibili difficoltà, sperando che il proprio figlio vivrà senza vedere la guerra.

A quattro anni dall’inizio del conflitto armato, 24 milioni di persone hanno bisogno urgente di aiuto, l’80% della popolazione è allo stremo delle forze. Un’emergenza umanitaria che non conosce rivali, definita dalle Nazioni Unite come la più grave al mondo. Una contrapposizione bellica che rimarca la divisione geopolitica del Paese, quel nord e sud con trascorsi storici differenti, riunificati solo nel 1990, con susseguirsi poi di guerre civili e contrasti che ancora oggi sono la fotografia di una vertenza tuttora aperta, fonte di una continua instabilità interna.

Per trovare un ospedale o una struttura sanitaria che funzioni, spesso occorre affrontare lunghi viaggi a piedi in strade dissestate, in condizioni rese ancora più complesse dalla carenza di mezzi pubblici di trasporto. I numeri ne sono cruda testimonianza: solo il 51% delle strutture sanitarie risulta completamente funzionale. Il resto è parzialmente inagibile o totalmente distrutto a causa dei combattimenti e attacchi aerei. Molto spesso, oltre alle mura in frantumi, a restarne vittime sono anche i civili, come è accaduto nei giorni scorsi nell’ospedale del distretto di Kitaf nel governatorato di Sa’ada, dove sette persone hanno perso la vita a seguito di un bombardamento aereo nelle immediate vicinanze.

La comunità internazionale non può più permettersi di essere spettatrice passiva di fronte alle continue violazioni del diritto internazionale umanitario. “Occorre che tutti i Paesi si mettano in campo per impegnarsi a proteggere i civili e salvaguardare le infrastrutture come scuole e ospedali”, afferma con fermezza Alda Cappelletti, direttrice dei Programmi Intersos. “Non si può più restare in silenzio, bisogna rispettare il diritto umanitario internazionale. Tutte le parti devono sostenere una soluzione politica della crisi al fine di raggiungere accordi di pace duraturi”.

Mentre si continua a combattere, ogni mese e ogni giorno che passa aumentano le persone che hanno bisogno di aiuto, che rischiano di morire e non solo sotto le bombe, ma anche per fame e per malattie. Il colera è una di queste, un’epidemia che dal 2017 allarma sempre di più le organizzazioni umanitarie presenti sul territorio per assistere la popolazione. Si registrano casi di contagi e di decessi ancora oggi con allarmante frequenza. Solo negli ultimi tre mesi ci sono state 200 vittime e oltre 110mila casi sospetti.

Intersos è sul campo da anni, da quel 2008 che anticipava le prime proteste sfociate poi nella primavera araba del 2011, restando in seguito operativa anche e soprattutto con lo scoppio della guerra nel marzo 2015. Senza mai abbandonare il Paese, Intersos continua a fornire aiuto, tutela, assistenza, protezione a centinaia di migliaia di yemeniti e rifugiati somali che da tempo cercano riparo attraversando il Golfo di Aden; anche loro fuggono da conflitti e privazioni di diritti inalienabili. Sono rifugiati in un Paese in guerra.

Le attività mediche costituiscono una delle principali operazioni necessarie per rispondere all’emergenza umanitaria in corso. Sana’a, Aden, Hadramout, Taizz, Lahj, Hajja, Ibb e Maahuweet sono le località dove gli operatori umanitari Intersos lavorano sul campo ogni giorno. Le condizioni estremamente complesse del Paese richiedono di arrivare in zone isolate e di difficile accesso, dove non sono presenti strutture mediche. Per questo, oltre all’intervento in supporto delle strutture sanitarie già presenti, Intersos gestisce attività dinamiche sul territorio, come le cliniche mobili che raggiungono persone altrimenti lasciate sole.

Nel governatorato di Hadramout, nei tre distretti di Ghayl ba Wazir, Hajr e Huraidhah, sei cliniche di Intersos rispondono da ormai quasi tre anni a un bisogno crescente e costante di intervento emergenziale di salute e nutrizione. A fronte di numeri in continuo aumento (ad oggi 19,7 milioni di yemeniti hanno urgente bisogno di assistenza sanitaria), Intersos interviene anche a supporto degli ospedali distrettuali per l’assistenza dei pazienti bisognosi di cure secondarie, assicurando l’approvvigionamento di farmaci e attrezzature, e quindi garantendo che queste strutture forniscano assistenza gratuita. Ad affiancare questo tipo di intervento, Intersos si avvale della partecipazione di una rete di volontari della comunità per la diffusione di messaggi di educazione alla salute tra la popolazione.

Vulnerabili, fragili, soli. Proprio a loro si indirizzano i progetti in prima linea degli operatori umanitari sul posto, divenuti oramai punti di riferimento essenziali per la comunità yemenita. Oltre le cure, le persone sentono di poter chiedere aiuto e di riceverlo; cibo se affamati, medicinali o farmaci se ammalati, ascolto se bisognosi di qualcuno a cui appoggiarsi.

Ad oggi, sono 125.818 i beneficiari assistiti da Intersos con le attività delle cliniche mobili, 97.707 consultazioni presso le strutture sanitarie assistite e più di 37mila bambini vaccinati, il tutto attraverso programmi di primo accesso alle cure, cercando di perseguire un fine complesso quanto possibile: ridurre la mortalità, soprattutto quella infantile. Sono infatti 11 milioni i bambini al di sotto dei cinque anni che hanno necessità di assistenza umanitaria. Numeri così grandi da non sembrare veri.

Sono trascorsi quattro anni dall’inizio della guerra in Yemen, un anniversario triste da ricordare e che, ancora una volta, richiama tutte le parti in causa a impegnarsi seriamente per porre fine a una tragedia umanitaria in atto.

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