Se a Hollywood la statuetta ci è andata di traverso, nel sontuoso Anfiteatro Qatara tenori, soprani e baritoni nostrani sono stati insigniti dell’International Opera Awards. C’è chi balla con le stelle. A Doha, città in evoluzione in tutti i sensi, si canta con le stelle.

Al microfono Darwish S. Ahmad, direttore della Katara Foundation, la più grande istituzione culturale del Qatar, che di fatto è un villaggio di 100mila metri quadrati, snocciola dati: nell’ultimo anno hanno avuto 18 milioni di turisti che su una popolazione di due milioni e 639mila (secondo la Banca mondiale), è una cifra da capogiro.

E chissà quanti ne verranno per ammirare la meraviglia delle meraviglie, la Rosa del Deserto, il nuovo National Museum. “Un caravanserraglio moderno”, così lo definisce il suo progettista, l’archistar francese Jean Nouvel, una struttura fatta di dischi, pannelli rivestiti in fibra di vetro color sabbia, in mezzo una laguna artificiale di 900 metri e 114 fontane zampillanti. Il tutto è costato 400 milioni di euro. “Io lavoro per il popolo, non per i governanti”, dice trionfante.

Presentato come “il nuovo orgoglio del Qatar Moderno”, è anche lo specchio dei tempi che cambiano: due donne ai comandi, dai cognomi lunghi come un tir. Alla presidenza del museo la sceicca Al-Mayassa Bint Hamad Khalifa Al-Thani, alla direzione la vice sceicca Amna bint Abdulaziz bin Jassim Al Thani. Su red carpet sfilavano Johnny Depp, Carla Bruni e Naomi Campbell, abito bianco castigato chiuso fino all’ultimo bottone, come era stato chiesto nel dress code: abbigliamento appropriato. E toh, ci sono pure io, sembra dire la sindaca di Roma, Virginia Raggi. E’ lì per discutere di iniziative culturali con l’emiro mentre il presidente del Consiglio capitolino, Marcello De Vito, finisce nelle patrie galere.

E si alza il sipario con la Marcia Trionfale dell’Aida sulla Notte degli Oscar della Lirica, nata da un’intuizione di Alfredo Troisi, coltissimo melomane che lo ha voluto in gemellaggio con L’Arena di Verona.

“E’ immenso il nostro patrimonio culturale ma non riusciamo a capitalizzarlo come meriterebbe. Abbiamo sempre più bisogno di finanziamenti dall’estero. In Italia non ci sono incentivi fiscali per i privati come succede in altri paesi. Non abbiamo la figura di donars, donatori, i nostri Festival culturali dovrebbero essere macchine per far soldi e invece non lo sono”, allarga le braccia Laura Troisi, project manager per la Fondazione Verona per L’Arena e figura ponte fra le due culture, la nostra e la loro.

Anche i vincitori lirici avranno una statuetta, alata, ispirata alla Nike di Samotracia, simbolo della vittoria e realizzata dallo scultore orafo Alberto Zucchetta. Brindisi veri sulle note di “Libiamo ne’ lieti calici” e fuochi d’artificio sotto un cielo che più stellato non si può.

Nelle stesse ore al Teatro La Scala calava il sipario sull’opera Chovanscina per un’audace regia di Mario Martone con richiami all’Apocalisse (alla prima 12 minuti d’applausi). En attendant la grande rentrée dell’icona della danza Alessandra Ferri che porta in scena Woolf Works, ispirato ai diari di Virginia Woolf. E statuetta anche per lei omaggiata con il prestigioso Laurence Olivier Award. Due  rivoluzionarie al confronto: Virginia lo è stata nella scrittura, Alessandra nel balletto. Nel 2007, a 45 anni si ritira dalle scene. Dopo sei anni ci ripensa e ritorna più in forma di prima (“Non è stato un ritorno, ma un andare avanti”). L’ho vista l’anno scorso in un pas à deux al Festival di Ravello, era leggera e profonda. “Io sono solo una donna che balla”, dice di sé. No, come lei non c’è nessuno.

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