Gli Stati Uniti hanno annunciato di avere ritirato tutto il personale diplomatico dal Venezuela. Ma Caracas ha fatto sapere che è stato il governo di Nicolas Maduro ad ordinare che lasciassero il paese. “Cercare di anticipare le notizie e fare credere che Washington sta ritirando il suo personale non è altro che una reazioni arrogante e disfattista, che esprime frustrazione”, ha scritto il ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza su Twitter. Il capo della diplomazia venezuelana ha aggiunto che, “come avevamo già detto ieri, la decisione di Maduro” di espellere il personale restante dell’ambasciata Usa a Caracas “deve essere eseguita entro 72 ore”.

Intanto il Paese è ancora alle prese con il blackout che paralizza il Paese da giovedì scorso. Maduro non precisa quando tornerà la luce e continua a denunciare il “sabotaggio imperialista”, mentre il Parlamento, su proposta del leader dell’opposizione Juan Guaidò, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Chiamando la piazza a nuove mobilitazioni. “In quattro giorni il paese è andato indietro di cento anni”, ha detto Guaidò, presentando la dichiarazione all’Assemblea Nazionale e aggiungendo che “anche se l’usurpatore continua a dire che qui non succede niente, qui in Venezuela non esiste nessuna normalità: ci sono i primi saccheggi, i bambini muoiono negli ospedali e la gente è disperata”.

Maduro ha scritto su Twitter che si “continua a fare una forte battaglia per la liberazione del sistema elettrico nazionale, stiamo superando i problemi progressivamente, proteggendo il sistema dagli attacchi lanciati per impedirne il ricollegamento”, senza però indicare quando potrebbe tornare alla normalità l’erogazione elettrica.

La situazione continua a peggiorare a Caracas e in varie altre regioni del paese. Molti quartieri della zona metropolitana della capitale, dove la luce era tornata in modo intermittente durante la domenica, sono di nuovo al buio, dopo l’esplosione di almeno un trasformatore elettrico a Baruta, nella periferia della città. Caracas continua senza metropolitana, con le scuole e gli uffici chiusi, le comunicazioni quasi inesistenti, e il commercio virtualmente paralizzato. L’impatto del blackout ha raggiunto le pompe per la distribuzione dell’acqua, che comincia a mancare in diversi quartieri, al punto che decine di residenti si riforniscono nelle acque del fiume Guaire, malgrado non siano potabili, visto che è lì che convergono le acque reflue della zona metropolitana.

E domenica si sono segnalati inoltre i primi saccheggi: a Baruta una cinquantina di persone sono state arrestate dopo aver preso d’assalto un centro commerciale, mentre a Petare – considerata la più grande baraccopoli dell’America Latina – sono stati segnalati duri scontri fra forze dell’ordine e residenti nel pomeriggio di domenica. La situazione negli ospedali pubblici, è ormai al centro di una guerra dell’informazione.

Dopo la notizia rilanciata dal senatore democratico Rubio della morte di 80 bimbi, successivamente smentita dagli stessi medici, l’opposizione ha reso noto che almeno 21 pazienti ricoverati sono morti a causa del blackout. Ma il ministro della Sanità, Carlos Alvarado, ha bollato come “assolutamente falso” questo dato. Uno degli scenari di questo scontro è stato l’ospedale infantile J.M. de los Rios di Caracas. Sui social sono apparse testimonianze di famigliari di bambini ricoverati che denunciavano gravi problemi, mentre Telesur, canal news progovernativo, ha diffuso un reportage per dire che la situazione era completamente normale. Ma quando Monsignor Tulio Ramirez, vescovo ausiliare della capitale ha voluto entrare nell’ospedale lunedì, per celebrare una messa, l’accesso gli è stato impedito dalle forze di sicurezza.

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