La consigliera comunale milanese del Pd, Abdel Qader Sumaya, ha fatto parte in passato della Fioe (Federation of Islamic Organisations in Europe) e, stando alla testimonianza di una docente di Geopolitica ed “esperta islamista”, la professoressa Valentina Colombo, “esiste un’ampia letteratura a livello accademico e non che conferma il legame della Fioe con la Fratellanza Musulmana“.

Lo scrive il gip di Milano Guido Salvini nel decreto con cui ha disposto l’archiviazione, come richiesto dal pm Leonardo Lesti, dell’inchiesta nata da una querela per diffamazione presentata nel 2016 da Sumaya e da suo marito per una serie di articoli pubblicati da vari giornali, prima che venisse eletta. Già all’epoca, infatti, erano emerse polemiche per una presunta vicinanza della consigliera ai Fratelli Musulmani, organizzazione, spiega il gip, “nata in Egitto” ed “espressione di un’ideologia di completa prevalenza della religione sullo Stato e sulla società civile”, “in larga parte oscurantista e anticamera di anche più pericolosi fondamentalismi religiosi”.

Gli articoli, spiega il gip, “indicavano, con varie sfumature e con toni comunque molto polemici, la candidata come legata ai Fratelli Musulmani“. E nella querela “Sumaya aveva respinto tale collegamento giudicandolo anche offensivo della sua immagine pubblica”. Il giudice premette, però, “che in tutti gli articoli si verte in casi che non sono espressione del diritto di cronaca ma del diritto di critica che consente, come giustamente osservato anche dal pm, giudizi e valutazioni anche enfatizzati e corrosivi purché sia ad essi sottostante un interesse pubblico e non sfocino in mere offese gratuite”.

Il gip spiega, poi, che nell’indagine è stata sentita nel novembre 2016 la professoressa Colombo, la quale ha affermato che l’appartenenza di Sumaya alla Fioe “è riscontrata da diversa documentazione reperibile in Internet” e “sul profilo Facebook ufficiale della FIOE sono ancora pubblicate le sue fotografie e vi è poi un documento datato 5 luglio 2015 redatto su carta intestata della FIOE e a firma proprio” di Sumaya “che si definisce Head of Youth & Student Department”. Allo stesso modo, per la professoressa, come riassume il gip, “è certo il legame” con la Femyso (Federation of European Muslim Youth and Students Organisations) “in quanto in occasione dell’assemblea generale di tale organizzazione tenutasi a Colonia nell’estate 2015 sul profilo ufficiale Facebook del forum appare la notizia secondo cui Sumaya era membro della Commissione dei garanti”.

La professoressa ha inoltre sostenuto che “il contesto all’interno del quale Sumaya Abdel Qader si era mossa in passato e parzialmente si muove ancora oggi è sicuramente, a livello ideologico e organizzativo, il più vicino a tale organizzazione a livello europeo”, ossia alla Fioe. Gli articoli, scrive il gip, intendevano “mettere a confronto la sua candidatura e cioè quella di una persona ritenuta vicina all’islamismo politico anche di tipo radicale con quella di un’altra candidata del PD per il Consiglio comunale, Maryan Ismail, profuga somala, di cui sono invece ricordate negli articoli le posizioni laiche e progressiste”.  In altri articoli, poi, era stato scritto che il “marito della candidata avrebbe auspicato la scomparsa dello Stato d’Israele”. Un episodio, si legge nel decreto, che non è stato “in alcun modo smentito” dall’uomo e “all’interno di un’accesa critica politica appare consentito che la critica stessa si allarghi al contesto relazionale di una candidata”.

Nel motivare l’archiviazione di un altro filone dell’indagine nata dalla querela della consigliera comunale milanese, ossia quello su presunte minacce, sul social network. il giudice ha spiegato che Google e Facebook, destinatarie dei “decreti di acquisizione dei ‘files di log'” emessi dal pm, “non hanno fornito i dati richiesti in quanto non hanno rilevato all’interno delle pagine Web reati ravvisabili in base alla legge degli Stati Uniti ove le due piattaforme sono ospitate”.

Le minacce e le offese, spiega il gip nel decreto, “avevano diverse provenienze” e “in parte sono giunte da, presumibilmente italiani, che ‘invitavano’ la candidata ‘a tornare nel suo paese'”. Il giudice chiarisce, però, che non è possibile “esperire ulteriori attività finalizzate all’individuazione degli autori delle minacce anche perché più volte il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti, in risposta a richieste di assistenza giudiziaria internazionale” dei pm milanesi, in relazione “ad ipotesi di reato di diffamazione a mezzo Facebook”, ha segnalato che “condotte come quelle di cui al presente procedimento sono tutelate negli Stati Uniti dal Primo Emendamento della Costituzione”. E che negli Usa “non è previsto il reato di diffamazione ed è punita solo l’istigazione ad azioni illegali imminenti, certamente non configurabile nel caso in esame”. Anche se venisse inoltrata una rogatoria internazionale, dunque, conclude il gip, “l’assistenza sarebbe certamente rifiutata” e “restano pertanto ignoti gli autori delle minacce”.

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