La Corte europea dei diritti umani ha avviato il processo contro il Governo italiano per il caso Terra dei fuochi, una vasta area della Campania (tra Caserta e Napoli) in cui nel corso degli anni lo smaltimento illegale dei rifiuti ha pesantemente inquinato l’ambiente. La Cedu ha accolto in via preliminare i ricorsi ricevuti da cittadini e associazioni, sono più di 3500 persone che hanno presentato 40 istanze collettive, che denunciano la violazione dei loro diritti alla vita e al rispetto della vita famigliare, sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani. I ricorrenti sostengono che lo Stato non abbia preso misure per ridurre il pericolo, nonostante fosse consapevole del rischio reale e immediato.

Nei ricorsi presentati nel corso del 2015 si accusa l’Italia di aver violato l’articolo due della Convenzione europea dei diritti umani in cui è stabilito che “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”. Inoltre, i ricorrenti chiedevano anche di condannare le autorità italiane per il mancato rispetto dell’articolo 10 della stessa Convenzione, quello che sancisce il diritto a essere correttamente informati. In quest’articolo, dedicato alla libertà d’espressione, è protetta anche la “libertà di ricevere o di comunicare informazioni”.

Il 18 gennaio scorso invece è arrivata una sentenza storica. Nel processo sulla discarica Resit di Giugliano in Campania la Corte d’appello di Napoli ha condannato l’avvocato e imprenditore Cipriano Chianese, ritenuto l’inventore delle ecomafie per conto del clan dei casalesi, a 18 anni di carcere, due in meno rispetto ai venti inflitti in primo grado per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa. Condannati anche l’imprenditore dei rifiuti Gaetano Cerci e il geometra Alfani Remo (consulente incaricato da Chianese per la redazione di relazioni tecniche). Assolti, però, molti altri imputati. Tra questi l’allora sub commissario all’emergenza rifiuti in Campania Giulio Facchi e altri imprenditori casertani. Nel verdetto nomi e responsabilità portate alla luce per la prima volta negli anni Novanta grazie alla determinazione del poliziotto Roberto Mancini, il primo a indagare sullo sversamento illegale di rifiuti speciali nella Terra dei fuochi. Un’indagine che gli è costata la vita. Proprio a causa del continuo contatto con i rifiuti tossici e radioattivi, nel 2002 gli fu diagnosticato un tumore. È morto nel 2014. Ha fatto in tempo a vedere, nel 2011, la riapertura delle indagini, ostacolate per diversi anni, ma non la sentenza di primo grado, arrivata solo nel 2016.

Nel gennaio del 2016 l’Istituto superiore di sanità, nel rapporto sulla situazione epidemiologica dei 55 comuni della Campania sottolineava che nella Terra dei fuochi ci si ammala e si muore di più per diverse patologie collegate in qualche modo allo smaltimento illegale dei rifiuti. “Una serie di eccessi della mortalità, dell’incidenza tumorale e dell’ospedalizzazione per diverse patologie, che ammettono fra i loro fattori di rischio accertati o sospetti l’esposizione a inquinanti emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani” si leggeva nello studio. Particolarmente a rischio la salute dei più piccoli, alle prese con “alcune criticità nel primo anno di vita: eccessi di bambini ricoverati per tutti i tumori in entrambe le province di Napoli e Caserta, ed eccesso di incidenza e di ricoverati per tumori del sistema nervoso centrale rispettivamente per la Provincia di Napoli e di Caserta“.

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