È durata solo pochi giorni la vendita in Francia dell’hijab sportivo targato Decathlon, pensato per le atlete musulmane. Appena immesso il prodotto sul mercato online, infatti, la popolare catena è stata bombardata dalle critiche. Le polemiche per dire “no al velo islamico da footing” sono arrivate sia dai cittadini, ormai abituati a vivere in uno stato totalmente “laico”, sia dai politici di qualunque colore, da quelli de La République en Marche, fino agli estremisti della destra di Marine Le Pen.

Ad annunciare il ritiro dell’indumento, già commercializzato in Marocco al costo di 18 euro, è stato lo stesso Xavier Rivoire, direttore delle comunicazioni del marchio francese, ai microfoni della radio RTL. “Questa sera abbiamo preso la decisione, in piena responsabilità, di non mettere in vendita questo prodotto in Francia”, ha spiegato. Il velo, lanciato online e pronto ad arrivare sugli scaffali di tutti di Decathlon d’oltralpe da metà marzo, aveva come obiettivo quello di “rendere lo sport accessibile a tutte le donne del mondo”. L’accessorio è un velo da allacciare sotto la gola che lascia il viso scoperto, progettato perché “ogni donna possa correre in ogni quartiere, in ogni città, in ogni Paese, indipendentemente dal suo livello sportivo, dal suo stato di forma, morfologia, budget e in particolare dalla sua cultura”, aveva spiegato ieri Angelique Thibault, responsabile della gamma running della Kalenji di Decathlon.

L’iniziativa però non è piaciuta fin da subito. La ministra della Salute, Agnes Buzyn, prima del dietrofront di Decathlon aveva detto che il prodotto “non è vietato dalla legge” ma “è una visione della donna che non condivido”. “Tutto ciò che può portare alla differenziazione mi disturba. Avrei preferito che un marchio francese non promuovesse il velo”, aveva continuato. Per Aurore Bergé, portavoce del partito politico fondato dal presidente Emmanuel Macron, “lo sport emancipa, non sottomette”, così Decathlon “rompe con i nostri valori: chi tollera le donne nello spazio pubblico solo quando si nascondono non ama la libertà”. Valérie Rabault, presidente del gruppo socialista all’Assemblea nazionale, invece, aveva chiesto su Twitter di “boicottare” il marchio francese. Sulla stessa linea anche il sovranista Nicolas Dupont-Aignan, presidente del partito Debout la France, che aveva invitato al boicottaggio di Decathlon e al ritiro del prodotto: “Ho due figlie e non voglio che vivano in un Paese dove il ruolo sociale delle donne regredisce come in Arabia Saudita”. “Decathlon si sottomette anche all’islamismo, che obbliga le donne a coprirsi la testa con un hijab per affermare la propria appartenenza alla Umma e la loro sottomissione agli uomini. Decathlon quindi nega i valori della nostra civiltà per immolarli sull’altare del mercato e dell’economia comunitaria”, aveva scritto invece su Twitter la portavoce del partito Les Républicains, Lydia Guirous.

L’idea di un hijab pensato per le atlete musulmane non è nuova. Nel 2017 la Nike ha lanciato un indumento simile, sponsorizzato dalla pattinatrice degli Emirati Arabi Uniti, Zahra Lari. Il velo, con una linea dedicata proprio alle donne musulmane dal nome “Nike pro hijab”, è in vendita in tutti gli store della multinazionale statunitense, compresi quelli italiani e, appunto, francesi, ma a un prezzo diverso da quello commerciale previsto dalla Decathlon.

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