I commissari di Banca Etruria nominati da Bankitalia nel febbraio 2015 e rimasti in carica fino alla risoluzione del novembre successivo, sono indagati dalla procura di Arezzo per abuso d’ufficio. La vicenda è relativa alla vendita di un pacchetto di crediti deteriorati dell’istituto toscano, realizzata dai commissari il 16 novembre 2015, sei giorni prima della risoluzione del governo Renzi per Etruria e altre tre banche. La notizia è riportata dalla Stampa: il fascicolo, stando alla ricostruzione del quotidiano, è stato aperto nel 2018 e a ottobre scorso il gip ha autorizzato la proroga delle indagini.

Cuore dell’inchiesta la vendita di un pacchetto di crediti del valore nominale di 301,7 milioni di euro ceduto per 49,2 milioni a Credito fondiario-Fonspa, con una plusvalenza per l’istituto di circa un milione. In base a quanto riportato nella richiesta di proroga delle indagini l’abuso d’ufficio è ipotizzato perché la vendita sarebbe avvenuta “a prezzi, condizioni contrattuali e in tempi tali da violare quanto disposto” dall’articolo del testo unico bancario che regola i compiti dei commissari nonché anche la violazione da parte dei commissari dell’articolo 97 della Costituzione circa il dovere di imparzialità tenuto conto delle offerte o disponibilità avanzate da terzi.

La vendita per un corrispettivo – pari a poco più del 14% del valore nominale – era stata oggetto un esposto da parte dell’Associazione vittime del salva banche e dell’associazione Amici di Banca Etruria. Nell’esposto si contestava una perdita di 70 milioni di euro. Soldi che “avrebbero permesso di rimborsare tutti gli obbligazionisti esclusi dal rimborso” automatico disposto dal governo per i risparmiatori che rispettano alcuni parametri avevano sostenuto le due associazioni.

Fonspa, alla cui guida si sono succeduti Piero Gnudi, l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi e il presidente dello Ior Jean Baptiste de Franssu, si era aggiudicata quel pacchetto di prestiti difficili poco prima che la risoluzione portasse all’azzeramento di azioni e obbligazioni subordinate. Nell’esposto si spiegava che “la svalutazione delle sofferenze cedute è stata pari all’86% mentre quella in sede di risoluzione è stata del 78% e Banca d’Italia, al momento della ratifica del contratto con Fonspa, conosceva già entrambi i valori, ma ha proceduto comunque alla cessione, creando una perdita di circa 70 milioni”. Il prezzo di quella cessione fu usato come parametro per stabilire il valore delle sofferenze di tutte le banche poi salvate.

Per Via Nazionale la cessione era stata “irrilevante” come aveva dichiarato il 12 dicembre 2017  il capo della vigilanza di Banca d’Italia Carmelo Barbagallo in audizione alla Commissione d’inchiesta sulle banche  La dgcom della Ue, aveva spiegato Barbagallo “ha chiesto
informazioni per formalità tecniche” ma “è stata irrilevante ai fini della decisione finale” e fatta “ai soli fini della quantificazione dell’aiuto di stato”, La vendita che era peraltro già svalutata dalla banca, è avvenuta al valore del 3% sul nominale. Per quanto riguarda la parte collateralizzata la Ue indicava una svalutazione del 75% per i crediti ipotecari e 91,6 per i chirografari con una media ponderata complessiva del 17,7%. Percentuali, ricordava Barbagallo, “calcolate nel corso delle interlocuzioni con il governo italiano come quelle ritenuti accettabili in quanto indicative del valore economico reale delle sofferenze e confrontato con il valore di mercato delle stesse sofferenze”.

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