Il “diabete urbano” è la nuova pandemia del millennio che sta colpendo le città. Due pazienti su tre vivono infatti nelle metropoli, dove la gente passa più tempo in macchina nel traffico che a camminare. Dove il cibo spazzatura (confezionato e ad alto contenuto calorico) è disponibile a tutte le ore e a ogni angolo della strada. Dove per i ritmi frenetici della vita e gli orari serrati di lavoro si salta il pranzo o si mangia un panino davanti al computer, e si cena troppo tardi (e in abbondanza, se la cena è l’unico pasto della giornata). Ecco perché la sfida contro questa malattia, nascosta ma potenzialmente letale, deve partire dalle città.

“La medicina da sola non basta più – avverte Andrea Lenzi, professore di Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma -. Abbiamo raggiunto alte capacità diagnostiche e terapeutiche ma senza l’aiuto delle amministrazioni comunali, degli urbanisti e degli psicologi non riusciremo mai a ridurre il diabete”. Lenzi è a capo dell’Health city institute, un think tank nato tre anni fa per studiare la salute nelle città e offrire i migliori strumenti per promuovere contesti urbani più sani e sostenibili. Nelle città ci sono disuguaglianze di salute tra il centro e la periferia. “A Roma – fa un esempio Lenzi – nei quartieri centrali, più benestanti, la prevalenza di diabetici è del 5,8 per cento mentre nelle zone periferiche, più disagiate, del 7,2, perché si predilige il junk food che costa meno”. Ma non è solo un problema di tasche e di cultura alimentare. Anche di movimento. Lo dimostra un recente studio sulle diseguaglianze spaziali di salute realizzato dall’Osservatorio sulle malattie della povertà della Fondazione per la medicina solidale di Pellaro (Reggio Calabria), in collaborazione con la facoltà di Architettura dell’università “Mediterranea” di Reggio Calabria. “Una persona che vive in periferia – spiega il presidente della Fondazione, Carmelo Caserta – è più soggetta al diabete perché usa più spesso l’auto privata per recarsi al lavoro, avendo pochi mezzi pubblici a disposizione, e perché impianti sportivi e spazi verdi per l’attività fisica sono carenti”.

Nel mondo, l’International diabetes federation nel 2017 ha stimato 425 milioni di diabetici, che saliranno a 629 milioni entro il 2045. In Italia l’Osservatorio Arno ne conta quattro milioni. Più un altro milione che ignora di esserlo. Numeri che sono raddoppiati rispetto a 20 anni fa. La politica, finora in silenzio, sta finalmente aprendo gli occhi. I primi di ottobre su iniziativa di Daniela Sbrollini (Pd) e Roberto Pella (Forza Italia) è stato costituto l’intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”. E oggi a Montecitorio, in occasione della Giornata mondiale del diabete (che sarà il 14 novembre), è stata ribadita la sua missione. “Raccogliere, selezionare e accelerare l’approvazione delle proposte di legge già depositate per la prevenzione dell’obesità e del diabete nelle città – spiega la senatrice Sbrollini -, nominare un team di esperti e stringere alleanze con le università per realizzare strumenti e interventi di promozione della salute. Abbiamo un sito web già online. Una delle sfide sarà anche introdurre l’insegnante di educazione fisica in tutte le scuole primarie. Oggi la lezione di ginnastica è spesso affidata a una maestra qualsiasi, che non ha una laurea in scienze motorie”. La causa principale del diabete 2 è proprio l’obesità. Una delle azioni per contrastarla è la sugar tax, proposta anche per l’Italia, e sostenuta dalla Società italiana di diabetologia (Sid).

Ma la pericolosità del diabete tra la gente è ancora sottovalutata. Non ci si rende conto che è una malattia che ogni anno provoca 4 milioni di decessi. “Si tende erroneamente a considerarla una patologia benigna; in realtà in Italia uccide più del cancro – sottolinea Simona Frontoni, professoressa di Endocrinologia a Tor Vergata e membro Sid -. La glicemia alta per periodi prolungati favorisce l’ossidazione e l’occlusione delle arterie facendo aumentare il rischio di malattie cardiovascolari che sono la prima causa di morte”. Tra i diabetici l’Osservatorio Arno ha registrato 75 mila infarti l’anno. E poi: 50mila ictus, 10mila amputazioni, 50mila casi di problemi alla vista e duemila dializzati. Con dei costi pazzeschi per il Ssn. Per curare un paziente diabetico si spendono in media 2900 euro l’anno contro i 1300 di un soggetto non diabetico. E i ricoveri sono il doppio.  “Un paziente su quattro è a rischio ipoglicemia legato all’uso di farmaci a basso prezzo, le sulfoniluree, oggi superati, ma ancora prescritti dai medici di famiglia che, a differenza dello specialista, non hanno la facoltà di cambiare il piano terapeutico” denuncia Frontoni.

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