La notizia è di quelle clamorose, dopo 130 anni la Sagrada Familia, l’edificio più iconico di Barcellona, potrà ottenere la legittimità del titolo urbanistico a fronte del pagamento di 36 milioni di euro al Comune di Barcellona. La basilica cattolica, infatti, opera dell’architetto catalano Antoni Gaudì, è in costruzione da 136 anni e rappresenta un’anomalia urbanistica.

Priva dei regolari permessi per costruire, diventa proprietà della Diócesi di Barcellona solo a partire dall’anno 1995 e sulla carta è inesistente: nel registro delle proprietà, al numero 22 di Barcellona, (ricostruisce El Pais) figura come un terreno edificabile di 14mila 781 metri quadrati situato nell’Eixample e privo del suo costruito. Questo vuol dire che la basilica – che dovrebbe essere terminata nel 2026 – in tutti questi anni è rimasta fuori dagli accertamenti del Comune di Barcellona e della Generalitat e non è mai stata intrapresa alcuna azione per supervisionare le opere di completamento, che pure avranno un notevole impatto visivo sull’intera città: la Torre di Gesù Cristo infatti- che nel 2022 raggiungerà i 172,5 metri – sarà l’edificio più alto di Barcellona.

L’assenza della documentazione urbanistica viene resa nota solo nel 2010, quando la perforazione del tunnel dell’Ave (l’alta velocità che collega Madrid a Parigi passando per Barcellona) raggiunge l’altezza della basilica e si rende necessaria la visione della documentazione relativa al progetto, per valutare un eventuale impatto sulla stabilità dell’opera . Ma oltre le pieghe della burocrazia e delle concessioni amministrative, c’è un aspetto più clamoroso e sconcertante dell’”abuso edilizio” della Sagrada Familia, vale a dire, la pervicace volontà di completarla.

Dalla morte di Antoni Gaudì infatti – avvenuta improvvisamente a seguito di un incidente nel 1926 – i lavori di ampliamento della basilica sono proseguiti con un progetto che si basa sulle versioni ricostruite dei disegni e dei modelli andati perduti nell’incendio appiccato dagli anarchici catalani durante la guerra civile spagnola nel 1936; realizzando, di fatto,un sensazionale e colossale falso storico che svilisce il genio di Gaudí. Quale valore culturale può rappresentare l’interpretazione e la costruzione – nel XXI secolo – di un edificio che condensa l’esperienza culturale dei primi del Novecento, dall’eclettismo storicistico (“che affonda le radici nella tradizione spagnola dall’arte mudéjar al romanico, dal gotico al plateresco” cit. R. De Fusco ) all’Art nouveau?

I lavori in corso, finanziati dalle donazioni e dai contributi, non si arrestano neppure davanti all’ipotesi di dover abbattere interi condomini e sgomberare decine di famiglie per far posto alla costruzione della scalinata della facciata de “la Gloria” per completare un’opera che, come ricorda Jaume Sanmartí esperto dell’opera di Antonio Gaudí, si basa su un solo disegno dell’architetto e “ciò che che viene costruito ora nella basilica della Sagrada Familia è fatto nel nome di Gaudí ma certamente non suo”. Oriol Bohigas, uno dei primi architetti a denunciare la “povera imitazione di Gaudí”, definisce la basilica il simbolo dell’incultura di Barcellona, una vergogna mondiale, una barbarie culturale; e Juan José Lahuerta, attuale direttore della “Càtedra Gaudí “ ha dichiarato che la Sagrada Família è “un gigantesco bibelot“, in altre parole, un enorme souvenir.

Perché allora questa ostinazione nel realizzare un’imitazione, un’interpretazione, un falso privo di valore storico e rigore scientifico? Riassume bene l’intento Josep Maria Montaner – che nel libro Repensar Barcelona ricorda l’indifferenza (se non il disgusto) dei catalani per la basilica cattolica, considerato il simbolo più discutibile della città di Barcellona, un’opera fuori da ogni logica, una follia ad uso e consumo dei turisti che soddisfa il loro senso del pittoresco: “la Sagrada Familia è come la crema catalana, un dolce tradizionale che i catalani non gustano quasi mai ma che riservano invece a ‘los guiris‘, i turisti.” E il turismo per la Catalogna rappresenta il 19% del Pil spagnolo.

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