Serve a semplificare la vita al cittadino e a garantire migliori servizi a minori costi. Il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) però continua a dividere e generare caos, per chi vi accede e perfino per chi gli resiste: sta partendo ora in Sicilia, mentre in altre 15 regioni è attivo da tempo. Restano ancora escluse Abruzzo, Basilicata, Calabria e Campania. Regione che vai, regole che trovi. Così la “rivoluzione” della sanità digitale, nonostante i tentativi unificanti siano partiti nel 2012, ad oggi resta disponibile solo per una parte degli italiani, per altri è ancora preclusa.

La misura di questo incedere scomposto del Fse la offre anche il diverso “trattamento” riservato al medico che per motivi legati alla tutela della privacy e alle garanzie sulla corretta conservazione del dato personale degli assistiti, si rifiuta ostinatamente di inserire i dati. Anche qui, Regione che vai e trattamento che trovi. La dimensione plastica del caos e delle implicazioni di questa delicata fase della digitalizzazione sanitaria sarà oggetto domani in un incontro pubblico dal titolo “Salvaguardia e sicurezza della relazione medico-paziente nella Sanità digitale” (ore 15:30, via Roma 98) al centro polifunzionale del comune magentino di Marcallo con Casone, dove interverranno docenti del Politecnico di Milano esperti in organizzazione della sanità, medici di base e promotori dell’associazione SicurDott che si occupa di privacy e sanità elettronica.

L’incontro avviene nel piccolo comune lombardo perché qui si è materializzato il limite del sistema, allorché il medico di base Nicola Di Lorenzo, che da una vita curava i cittadini di Marcallo, ha deciso di mettersi di traverso e fare il medico-obiettore, contravvenendo così alle indicazioni del Ministero, delle rispettive Ast e delle Regioni che rincorrono la digitalizzazione e il consenso dei pazienti anche a suon di incentivi in busta paga ai medici di base. A Di Lorenzo l’Ast ha revocato la convenzione, provocando la sollevazione di un migliaio di pazienti, una raccolta firme con petizioni e ad oggi il suo caso è tutt’altro che chiuso, perché ha innescato la prevedibile girandola tribunalizia. Al suo fianco ci sarà Francesco del Zotti, vicepresidente di SecurDott e membro di una Commissione della federazione degli  ordini nazionali dei medici in merito alla Information Communication Technology. Sarà lui a raccontare come un altro medico, stavolta in Friuli, abbia apposto analogo rifiuto senza incorrere in alcuna sanzione.

Sempre per la regola della Regione di appartenenza. Si tratta di Stefano Vignando, medico di medicina generale di Palmanova (Udine) che esercita da 36 anni e così – al fattoquotidiano.it – testimonia la sua “resistenza”: “Io lavoro con carta e penna come 10 anni fa per scelta, non perché sia rimasto indietro con la tecnologia ma perché quando uso il mio pc, rigorosamente disconnesso alla rete, sono in grado di garantire la riservatezza e la certezza dell’inviolabilità dei dati dei miei assistiti. E se tali dati vengono diffusi impropriamente è per mia responsabilità professionale, penale e civile e deontologica. Ma se io li metto in un sistema che porta quel dato nella disponibilità di altri, nello specifico della regione e dei ministeri della Salute e dell’Economia, non sono più in grado di garantire nulla, cioè l’inviolabilità del dato sensibile. Ma l’ho messo in rete io e ne sono il responsabile. Siccome abbiamo come medici un codice deontologico che supera leggi e leggine, vado avanti così e nessuno mi viene a dir nulla. Sanno come la penso”.

“Nelle mani di chi finisca la storia clinica dell’assistito, le sue patologie ed eventuali prescrizioni non è ad oggi così certo”, mette il dito nella piaga Del Zotti. “Mentre sulle schede informative del farmaco vengono riportati benefici attesi, controindicazioni ed eventuali effetti collaterali, tutto lo stile comunicativo che accompagna questa scomposta e massiccia operazione di raccolta dati tramite Fse è improntato all’accentuazione degli aspetti positivi e sottovalutazione, se non proprio omissione, di rischi connessi. Che non sono neppure latenti, visto l’interesse delle industrie e il commercio di big data. Può il medico rifiutarsi di fare da sostituto di garanzie così carenti sotto il profilo della sicurezza? Secondo noi no, deve operare nel supremo interesse del paziente, respingere eventuali pressioni contingenti e semmai adoprarsi per una diffusa cultura del trattamento dei dati sanitari che funga da anticorpo alla tentazione dei click facili che portano ad adesioni non pienamente informate”.

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