Confucio diceva: “Scegli un
lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Questa massima
Giosuè De Vincenti la ripete in modo incredulo, quasi senza rendersi conto che lui, il lavoro che desiderava da bambino, è finalmente riuscito a raggiungerlo. “Sono
pianista e
insegnante di
conservatorio. Ho 33 anni, in
Italia questo sarebbe stato impossibile”. Eppure, il lavoro del musicista, pur essendo basato in
Portogallo, profuma di
Italia. Lo testimonia la sua tesi per il secondo anno di dottorato in pianoforte all'
Università di Aveiro, a sud di
Porto, dedicata ad alcuni compositori calabresi del
XIX secolo. “In
Portogallo ho un buon lavoro e non devo rinunciare a nessun vizio. Eppure, mi piacerebbe che mio figlio crescesse in
Italia”.
Nato a
Destro di Longobucco, un paesino di circa 500 anime localizzato nell'entroterra silano, e laureato nel
Conservatorio di
Cosenza, è “la precarietà” ad interporsi tra la sua
volontà e la possibilità di tornare a casa. “In
Italia, un pianista oggi può lavorare, domani chissà. Per quanto riguarda l'insegnamento, invece, a 30 anni si è considerati troppo
giovani. Come potrei dare un
futuro sicuro a mio figlio?”. Sua moglie lo ascolta, il loro bimbo di quattro anni in braccio. Anche lei è italiana, e ha scelto di seguire suo marito all'estero. Perché la storia
Oltralpe di
Giosuè inizia a 24 anni, con un
Erasmus all'
Università di Aveiro, cittadina affacciata sull'Oceano Atlantico, spesso nominata la
Venezia portoghese per i sui numerosi canali e le tipiche imbarcazioni di legno. “Un percorso che avrebbe dovuto tenermi lontano dall'Italia solo per quattro mesi. Oggi, invece, a distanza di nove anni mi trovo ancora qui”.
In Italia, un pianista oggi può lavorare, domani chissà. E se insegni a 30 anni sei considerato giovane
Il
Portogallo inizia ad essere una seconda casa. Così, dopo una seconda laurea all’
Università del Minho di Braga, la seconda città più importante del
Nord del Portogallo, dopo
Porto, arriva un’offerta di lavoro nella stessa università dove pochi mesi prima il calabrese era solo uno studente. Un percorso che l'ha portato, nel 2015, a trent'anni appena compiuti, a diventare docente al
Dipartimento di Musica. Nel mentre, si susseguono le tournée:
Stati Uniti, Brasile,
Spagna, Francia,
Portogallo, Bosnia Erzegovina,
Ungheria, Inghilterra. “A volte le cose vanno in maniera inaspettata”. Così, mentre i tentativi per entrare nel mondo del lavoro in
Italia falliscono uno dopo l'altro, il
Portogallo sembra non volerlo lasciare andare e oltre alla
cattedra in
università, nel 2016 gli viene assegnata una borsa di dottorato all'
Università di Aveiro, dove oggi frequenta il secondo anno di studi in performance.
“Mi sento fortunatissimo perché da quando sono all’estero non ho mai avuto problemi di
lavoro o
precarietà”. Solo i volti cari sono lontani. E così, parlare con i vecchi amici, spesso significa organizzare
video chiamate internazionali. Aggiornamenti in cui alcuni hanno cambiato
lavoro, pur di stare in
Italia, accettando mestieri che nulla hanno a che vedere con il loro titolo di studio. “Altri, in
Italia, sono precari da anni o disoccupati, e mi consigliano di non rimetterci piede”. Eppure, due volte al mese
Giosuè prenota abitualmente un volo per il
Belpaese, se non per vedere “i tramonti imperdibili” della sua
Calabria, per la più nordica
Bergamo, dove dal 2018 ha iniziato a insegnare in
conservatorio. “Spesso ci sentiamo dire di rimanere con i piedi per terra. Io, invece, dico ai miei
studenti di alzarli quei piedi, di saltare fino a che non si inizierà a volare. Ai miei studenti dico sempre di non accontentarsi mai, di fare le valigie e partire. In fondo se non si prova, non accadrà mai nulla”.
“Spesso ci sentiamo dire di rimanere con i piedi per terra. Io, invece, dico ai miei studenti di alzarli quei piedi
Mentre parla, in sottofondo il 2º concerto per pianoforte e orchestra di
Rachmaninoff e
Giosuè è un fiume in piena che racconta della tua prossima tournée negli
Stati Uniti e della volontà di realizzare un cd con musiche per pianoforte di
compositori calabresi. Ed ecco che il pensiero torna all'Italia. “Ho sempre pensato che vivere all’estero dovrebbe essere
un’esperienza obbligatoria, ma per poi ritornare. Dopo avere fatto conoscere al mondo le bellezze dell'
Italia, e avere imparato quanto più possibile nel Paese ospitante, si dovrebbe ritornare in Italia e donare quello che si è imparato. Eppure, la mia strada verso l'Italia è ancora lunga”. Di cose da dire ce ne sarebbero ancora tante ma per questa sera “credo vada bene così”. All'estero, come in
Italia, la vita va avanti, e “
mio figlio mi aspetta per giocare”.