L’aereo si è guastato. E 15 tunisini che dovevano essere espulsi sono tornati liberi, anche se con un foglio di via che li obbliga a lasciare l’Italia. È un vero e proprio flop l’operazione di rimpatrio raccontata dai quotidiani la Repubblica e il Tempo e avvenuta la settimana scorsa.

Nel servizio erano impegnati cento agenti di polizia. Diciotto dei quali sono partiti da Torino, dal Cpr di corso Brunelleschi a bordo di un pullman con cui scortavano 7 tunisini. “Dopo dieci ore sono arrivati a Fiumicino dove sarebbero confluiti altri tunisini partiti da altre parti d’Italia. Il charter doveva essere diretto a Palermo e poi in Tunisia ma alle 9 si è scoperto che l’aereo era guasto”, racconta Eugenio Bravo, segretario generale del sindacato di polizia Siulp Torino. A quel punto quindi, due tunisini sono stati portati nel Cie, dove erano disponibili posti.

Per altri quindici, invece, è scattato il foglio di via. “Ma nessuno ottempererà all’ordine. Rilasciarli, per quanto legittimo, fa venir meno lo sforzo e l’impegno dei poliziotti. Ci sarebbe da ridere se non fosse che la questione immigrazione è maledettamente seria”, dice sempre Bravo.  Alla fine anche i poliziotti sono tornati a casa, dopo un turno di lavoro di 20 ore. “Ma senza che fosse previsto il pagamento delle ore di straordinario notturno”, polemizza il sindacalista della polizia.

Sempre oggi, tra l’altro, dovrebbero cominciare le operazioni di rimpatrio di altri 184 tunisini sbarcati a Lampedusa il 14 settembre scorso. “Andranno via subito”, aveva poi detto Matteo Salvini dal vertice di Vienna sulle migrazioni, durante il quale è stato protagonista di un acceso battibecco con il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn. Il capo del Viminale aveva già ricordato come fossero necessari nuovi accordi con i Paesi africani che permettessero all’Italia di aumentare il numero di 80 trasferimenti alla settimana verso la Tunisia, “altrimenti ci vorranno 80 anni per rimpatriarli tutti”. Il governo tunisino, però, avrebbe fatto sapere che non intende modificare gli accordi prima di una trattativa formale per il rinnovo e dunque prima di negoziare con l’Italia nuove condizioni.

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