Era il 2006 quando l’archistar Santiago Calatrava incontrò a Genova l’allora presidente della regione Liguria, Claudio Burlando e si candidò per disegnare e realizzare un nuovo ponte autostradale in acciaio sul torrente Polcevera. All’epoca, c’era infatti al vaglio della Società Autostrade e del Governo l’ipotesi di abbattere e sostituire quel ponte problematico progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi e costruito negli anni ’60 dalla società Condotte. Due anni dopo, a maggio 2009, quando dalla società Autostrade venne presentato il nuovo progetto della gronda autostradale da Voltri alla Val Polcevera, le cronache registrarono un’inversione di rotta: “Non è previsto l’abbattimento del Ponte Morandi” dissero Autostrade. Questo nonostante un nuovo studio avesse calcolato un tempo dagli 8 ai 12 mesi per la demolizione controllata del viadotto. Il motivo?  “La sua eventuale dismissione per inagibilità o per situazioni temporanee di blocco dovute ad incidenti stradali, costituisce un grave rischio per il traffico automobilistico regionale”.

Eppure il progetto di Calatrava avrebbe consentito anche di recuperare spazi di vivibilità in un quartiere invaso dal cemento. La sua idea era infatti quella di costruire un nuovo ponte in acciaio proprio sopra il vecchio viadotto ed usarlo poi per demolire l’opera sottostante, con l’uso di appositi carrelli che agganciano pezzi della struttura e li portano a terra. “Il nuovo ponte – spiegò all’epoca l’architetto spagnolo – sarebbe molto più leggero e le carreggiate sarebbero divise in modo da lasciare filtrare la luce del sole a terra. I piedi del viadotto occupano 600 metri quadrati, per la nuova struttura ne basterebbero 50-60“. E Aggiunse: “Vorrei presentare – registrano ancora le cronache di quell’anno – due o tre idee di ponti strallati e ad arco per poi fare scegliere il migliore, ma l’importante è che la struttura nasca in sintonia con il paesaggio, perché quella valle è molto bella”. Garantì poi che l’opera sarebbe stata realizzata in tre anni, uno per la progettazione e due per la realizzazione. L’idea di affidare il progetto a Calatrava piacque a Burlando (e nei giorni successivi la caldeggio con l’allora ministro Antonio Di Pietro) ma nel rispetto dei ruoli comunque precisò: “Naturalmente spetta ad Autostrade (oggi gruppo Atlantia) scegliere gli autori del progetto”.

La proposta dell’archistar resta però in sospeso. Nel febbraio del 2009 un nuovo studio di fattibilità riduce il tempo calcolato per la demolizione controllata del viadotto Polcevera, portandolo a 8-12 mesi con lo smontaggio della “struttura con un ordine inverso rispetto alle fasi della costruzione dell’opera”. “In tal modo sarà sufficiente evacuare provvisoriamente le abitazioni che attualmente insistono nell’impronta e negli immediati dintorni del viadotto, senza procedere ad alcun abbattimento dei fabbricati” si legge nello studio La Gronda di Genova. Presentazione sintetica delle ipotesi di tracciato che Autostrade per l’Italia aveva realizzato assieme alla società d’ingegneria Spea e pubblicato come base per un dibattito pubblico. Il documento, nel capitolo dedicato ad una delle ipotesi di varianti di tracciato studiate da Autostrade per l’Italia (quella definita Gronda Bassa che “affianca l’esistente viadotto Morandi, di cui è prevista la dismissione, ad una distanza di circa 150 m verso nord”), spiega: “Una volta demolita la struttura del Ponte Morandi, i proprietari delle abitazioni potranno rientrare nei rispettivi alloggi”.

Questa demolizione controllata del viadotto Morandi, precisano gli autori, “richiede di smantellare circa 80.000 metri cubi di calcestruzzo“. Autostrade per l’Italia aveva sottolineato in più punti la criticità della situazione: nel documento si legge, tra l’altro, che “Il tratto più trafficato è il viadotto Polcevera (Ponte Morandi) con 25,5 milioni di transiti l’anno, caratterizzato da un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni e destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni”.

La relazione, redatta 9 anni fa, metteva però anche in guardia sui potenziali rischi: “Il ponte Morandi – si legge – costituisce di fatto l’unico collegamento che connette l’Italia peninsulare ad est, la Francia meridionale e la Spagna ad ovest, ed è il principale asse stradale tra Genova, le aree residenziali periferiche, il porto di Voltri, l’aeroporto e le aree industriali di ponente. Lo svincolo di innesto sull’autostrada per Serravalle, all’estremità est del viadotto, produce quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura sottoposta ad ingenti sollecitazioni”.

Stime confermate anche nel 2011 in una relazione di Autostrade per l’Italia del maggio 2011 sull’adeguamento del sistema A7-A10-A12, in cui si ribadisce che il tratto autostradale A10 a Genova e l’innesto sull’autostrada per Serravalle producono “quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura del viadotto Morandi, in quanto sottoposta ad ingenti sollecitazioni”. Ma ciò nonostante, si preferì non procedere con la demolizione, optando invece per “una manutenzione continua“.

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Genova, crolla il ponte Morandi: i vigili del fuoco scavano tra le macerie alla ricerca di superstiti

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