Foto di Pino Rampolla

C’è un cuore che batte nel centro di Trastevere, è quello della Casa di Peter Pan dove i bambini ma anche gli adolescenti malati di cancro e in cura al Bambin Gesù di Roma trovano accoglienza e ospitalità con le loro famiglie, sostegno abitativo ma anche e soprattutto psicologico. Sono stata a visitarla qualche giorno fa e ho incontrato intere famiglie che la malattia ha estirpato dal loro contesto, dai loro affetti, dalla scuola e dai luoghi abituali, perché quando i bambini si ammalano di cancro, molto spesso, si devono sottoporre a lunghi periodi di cura lontani dalla loro casa e dalla loro città. Sono bambini e famiglie che provengono da tutta Italia, ma anche da tutta Europa, perché il Bambin Gesù di Roma è un polo di eccellenza senza frontiere.

Sono entrata nella Casa di Peter Pan in un giorno di festa. Era quello delle visite, quello in cui oltre a mamma, papà, fratelli e sorelle (che permangono stabilmente nella casa) arrivavano anche zii, nonni e amici. C’era un gran vociare nel salone che le famiglie condividono. Uno spazio comune, bello, ampio, che insieme alla cucina e al grande giardino rappresentano il cuore della Casa, fatto apposta per condividere e non isolarsi. I bambini sgambettavano ovunque, fuori pioveva e il giardino non era agibile. “Impossibile tenerli fermi” mi racconta una volontaria. Capitava così che durante il colloquio nella stanza del presidente Renato Fanelli, dove eravamo insieme alle due mamme fondatrici Marisa Barracano Fasanelli e Gianna Leo, qualche bimbetto si affacciasse a far capolino e venisse subito riacciuffato da un genitore. Al piano di sopra le stanza da letto, in grado di ospitare l’intera famiglia e accanto a noi la stanza notturna dei volontari, che non abbandonano mai la Casa, soprattutto quando scende la sera e i pensieri prendono il posto del sonno.

Prima della Casa di Peter Pan molte famiglie erano costrette a dormire in macchina oppure a indebitarsi per pagare un alloggio per una permanenza che può durare anche anni. Ma soprattutto molti bambini e molti genitori vivevano la loro malattia e quella e i loro figli in solitudine. Ed è per questo che il valore di Peter Pan va oltre la residenzialità. Peter Pan è una Casa per chi è lontano da casa, è solidarietà, accoglienza è la capacità di medicare le ferite che si creano dopo la diagnosi. In quella Casa fatta di teste bianche e giochi sparsi, la malattia c’è ma è diluita dalla condivisione di un’esperienza devastante, è decodificata dall’assistenza di professionisti, è affrontata con la sicurezza di un sostegno materiale. Ma soprattutto è una Casa che vive con l’aiuto di tanti volontari e grazie alle iniziative di solidarietà, come quella che vide come padrino e madrina Fabrizio Frizzi e Roberta Capua in occasione del Marry Christmas Peter Pan.

Sono entrata nella Casa di Peter Pan perché il 24 giugno, alle 21.30, nell’ambito della rassegna capitolina Letture d’estate, presenterò il libro fotografico Una favola, mille storie del fotografo Pino Rampolla (di cui avete qui un’anteprima), dedicato ai piccoli ospiti della Casa e i cui proventi andranno all’associazione. È un libro che racconta la vita dentro la Casa attraverso le immagini della quotidianità. Senza retorica, senza enfasi ma con la voglia di crescere restando bambini. Come Peter Pan.

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