“Fin da quando ero bambino avevo capito che per realizzare i miei sogni me ne sarei dovuto andare da Palermo”. Fabrizio Li Vigni ha 30 anni, una laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione e una valigia piena di ambizioni che non era possibile realizzare nella sua terra: “Una volta terminata la triennale sono andato a Barcellona per un master in Filosofia Contemporanea”, racconta. Ma c’era una cultura che più di ogni altra lo affascinava: “Quella francese. Guardavo film e leggevo romanzi in lingua, così ho scelto Parigi per il mio secondo master e poi ho applicato per il dottorato in Sociologia delle Scienze all’Ehess (École des hautes études en sciences sociales)”. Tentativo andato a buon fine: “Sono al quarto anno e posso ritenermi più che soddisfatto del percorso che ho fatto finora. Da tre anni insegno all’università, sia alle matricole che agli altri dottorandi, ho pubblicato tre libri sui rettili e molte altre pubblicazioni scientifiche e mi rendo conto che tutto questo non sarebbe mai stato possibile in Italia”.

Anche se gli inizi non sono stati facili: “Non è stato tutto rose e fiori – ricorda. Durante il primo anno e mezzo la notte lavoravo come portiere in hotel e il pomeriggio seguivo le lezioni del master”. Oggi, però, otto anni dopo aver detto addio alla Sicilia, sente che i suoi sforzi sono stati ripagati: “Vivere qui mi ha aperto la mente e mi ha messo in contatto con un altro tipo di civiltà – continua -, tutte cose che non posso dire di aver imparato durante gli studi in Italia”.

Fabrizio non riesce a nascondere la sua delusione per la situazione in cui versa il nostro Paese: “A guardarlo da fuori e con l’occhio del sociologo, mi rendo conto di quanto il nostro sistema sia malato. Fin da piccolo, nelle strade di Palermo, ho respirato una cultura clientelare e di sopraffazione e questo ha spinto me e tantissimi altri conoscenti a fare le valigie il prima possibile”.

E sono queste le ragioni che lo tengono ancora lontano dal nostro Paese: “In questi otto anni non ho mai pensato di rientrare – dice -, torno di tanto in tanto perché ho amore per l’arte e per quanto c’è di positivo, ma so che sarà difficile assistere a un cambiamento radicale nei prossimi anni, soprattutto per chi come me è impegnato nell’ambito della ricerca scientifica”. A Parigi, infatti, ha avuto modo di confrontarsi con molti connazionali: “Tanti professori della mia università sono italiani. Se ne sono andati perché da noi non trovavano sbocchi lavorativi soddisfacenti e volevano tenersi alla larga da qualsiasi processo di clientelismo. Qui le cose funzionano in modo completamente diverso, il mio superiore non ha problemi a bussare alla mia porta e chiedermi informazioni se su un determinato argomento ne so più di lui”. In base alla sua esperienza, Fabrizio non può che consigliare un periodo di studio o lavoro all’estero: “Tutti i Paesi dovrebbero avere una gioventù che va fuori e poi ritorna più arricchita – conclude -. Il problema è che l’Italia sta andando in emorragia, perché molti giovani partono per non tornare più”.

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