Niente più inserzioni a favore o contro l’aborto. Facebook, Google e YouTube si cuciono la bocca in vista del referendum del 25 maggio, quando l’Irlanda andrà alle urne per decidere se abrogare l’ottavo emendamento, la legge approvata nel 1983 che sancisce di fatto l’illegalità dell’interruzione della gravidanza.

A partire dal 10 maggio il più grande motore di ricerca, insieme a YouTube, ha bloccato ogni tipo di contenuto relativo al tema, “per mantenere un atteggiamento di integrità nei processi elettorali“. E attraverso una dichiarazione fatta circolare fin dalle prime ore di martedì, la società di Mark Zuckerberg ha stoppato sulla propria piattaforma ogni attività pubblicitaria legata al referendum. Si tratta di annunci che possono essere mirati in base alla posizione, ai dati demografici e agli interessi degli utenti e che possono influenzare il comportamento degli elettori. Calcando forte la mano sulla volontà di garantire “la neutralità in tutte le fasi” della campagna referendaria, l’azienda di Menlo Park ha dichiarato di volere “contribuire a garantire un voto libero, equo e trasparente su questa importante questione”.

Ma la decisione ha fatto infuriare i tantissimi cattolici irlandesi “pro-life” che hanno fatto sentire il loro disappunto, parlando di “ingiustizia” e “censura”. L’ottavo emendamento rende di fatto illegale l’aborto, equiparando il “diritto alla vita del nascituro” al “diritto alla vita della madre”. L’interruzione di gravidanza in Irlanda non è infatti concessa né in caso di stupro o incesto, né tantomeno quando viene individuata un’anomalia fetale.

Quello dei colossi del web è un tentativo di correre ai ripari dopo gli ultimi scandali: a partire dalla Brexit e dalle ultimi elezioni americane, infatti, i social network hanno veicolato sempre più messaggi a scopo politico. L’associazione Transparent Referendum Initiative – che promuove il dibattito sul referendum e monitora la relativa propaganda a pagamento, pro e contro – ha sottolineato come gruppi di pressione stranieri siano molto attivi in queste settimane, e tanti di loro hanno sposato la campagna contro l’abrogazione dell’ottavo emendamento.

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