Mi vergogno di quello che è successo. Chiedo scusa a tutti i giornalisti, ma di quei momenti non ricordo più nulla, ho visto tutto nero”. Lo ha detto in aula Roberto Spada sentito nell’ambito del processo che lo vede imputato, assieme al guardaspalle Ruben Alvez del Puerto, di violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo mafioso per l’aggressione al giornalista della Rai Daniele Piervincenzi e del suo operatore Edoardo Anselmi, avvenuta il 7 novembre scorso a Ostia. Due i motivi per i quali i pubblici ministeri hanno contestato l’aggravante mafiosa: Spada si trovava nel suo contesto giudicato “mafioso” da diverse sentenze e il cronista gli poneva domande relative alla mafiosità dello stesso contesto.

In collegamento dal carcere di Tolmezzo, dove è detenuto dai sei mesi, Spada ha ricostruito quanto avvenuto all’interno e all’esterno della palestra che lui gestisce nella zona di Nuova Ostia. “Nelle ore successive a quanto accaduto mi sono rivisto nel video – ha aggiunto rispondendo alle domande del pm Giovanni Musarò – e non mi sono riconosciuto: non c’è giustificazione a quello che ho fatto, il giornalista avrebbe potuto dirmi di tutto ma io non avrei dovuto reagire in quel modo”.

Nel corso dell’esame Spada si è spesso contraddetto rispetto a quanto dichiarato da lui nell’ambito dell’interrogatorio di convalida dopo l’arresto nel novembre scorso. “In quei giorni ero nervoso perché avevo la fila di giornalisti che mi volevano intervistare, volevano che parlassi di politica e di Casapound ma io non faccio politica. Se tu ti chiami Bianchi o Rossi e aiuti la gente per me va bene, non guardo colore politico”. Spada, che ha sostenuto di non ricordare chi era al suo fianco al momento dell’aggressione, ha concluso affermando di “non avere nemici ma solo amici”.

Spada ha riferito di non ricordare neanche di aver accompagnato i due giornalisti fuori dalla sua palestra impugnando una sbarra, da lui chiamata “colpitore”, poi usata per aggredirli. Delle due ore che precedono il pestaggio ricorda le chiacchiere con Piervincenzi che era entrato in palestra chiedendogli un’intervista: “Abbiamo parlato del più e del meno, che aveva fatto pugilato e rugby, che veniva da una borgata, eravamo diventati quasi amici. Si parlava e si scherzava, io gli dicevo che non ero interessato a rilasciare l’intervista. Dopo un’ora e mezza lui insisteva e io mi ero un po’ stancato di essere pacifico, tra parentesi, perché gli avevo detto più volte di uscire”.

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