La ricerca sulla Sla prosegue e capire quali sono le cause scatenanti della sclerosi laterale amiotrofica è un obiettivo di tutti gli scienziati del settore. Uno studio, pubblicato sul Journal of Neurology Neurosurgery&Psychiatry (British Medical Journal), ipotizza una possibile associazione tra malatia e sforzi fisici. La presenza di molti sportivi tra coloro che si sono ammalati, da Stefano Borgonovo (morto nel 2013) a Gianluca Signorini (morto nel 2003) allo stesso Lou Gerhig, ha sempre fatto pensare che tra i ‘sospetti’ ci fosse qualcosa di legato a questo tipo di esercizio fisico non amatoriale. In soggetti predisposti lo sforzo aumenterebbe il rischio di avere una diagnosi della malattia.

Per testare la teoria – come riporta l’Ansa – un gruppo di ricercatori coordinati dall’università di Utrecht, di cui fanno parte anche alcuni italiani, hanno confrontato gli stili di vita di 1557 adulti in Irlanda, Italia e Olanda a cui era stata diagnosticata la malattia con quelli di 2922 individui che invece non la avevano. Rispetto ad una persona che fa un’attività fisica media l’aumento di rischio è risultato del 6%, mentre il rischio è maggiore tra i più attivi del 26% rispetto ai meno attivi. Il rischio assoluto, sottolineano gli autori, rimane comunque molto basso, e lo studio non dimostra una relazione di causa ed effetto ma solo una associazione.

L’esercizio potrebbe avere qualche effetto neurotossico in persone con una predisposizione genetica – affermano gli autori -. Questo potrebbe essere dovuto allo stress ossidativo e all’infiammazione a cui è sottoposto il corpo, o a cambiamenti nella chimica del corpo che sono tossici per le cellule nervose. È anche possibile che le persone che si allenano regolarmente siano più esposte ad agenti ambientali rispetto a chi è sedentario”.

Nello studio, sottolinea Ettore Beghi dell’Istituto Mario Negri di Milano, uno degli autori dell’articolo, il rischio è stato correlato anche con una variante genetica particolare che è ormai assodato sia legata alla Sla. “L’esordio della malattia deriva dalla combinazione di più fattori, ambientali e genetici – spiega l’esperto -, di per sé ovviamente l’attività sportiva non fa male, ma a certi livelli se si è predisposti potrebbe comportare un aumento del rischio. Ricordiamo però che a livello assoluto il rischio resta basso, se normalmente ci sono due casi ogni 100mila abitanti fra quelli che fanno attività intensa saranno 2,2 al massimo, rimane un evento molto raro”. Il risultato, sottolinea Beghi, suggerisce però di ampliare gli studi sugli sportivi. “Noi stiamo lavorando per cercare di analizzare un ampio gruppo di calciatori professionisti, e verificare l’incidenza non solo di Sla ma di tutte le malattie neurodegenerative – spiega -. Una prima parte della ricerca è conclusa, ma ora siamo bloccati e stiamo cercando i fondi per poterla proseguire”.

Lo studio su Bmj

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