Luigi Di Maio ha chiuso ai condannati. Per la presidenza delle Camera, dice il leader pentastellato, il Movimento 5 stelle non accetterà nomi di persone sotto processo o già titolari di sentenze passate in giudicato. Un post, quello dell’aspirante premier, in cui non si facevano nomi ma che arriva nei giorni in cui i rumors ne suggeriscono sopratutto uno: quello di Paolo Romani. Con i pentastellati che rivendicano la presidenza della Camera, infatti, ad essere aperti sono soprattutto i giochi per la poltrona più alta di Palazzo Madama. “Non ho nomi da fare”, ha detto Matteo Salvini rispondendo a una domanda sulla possibilità che la Lega ceda la presidenza del Senato a Forza Italia. E il partito di Silvio Berlusconi è proprio Romani che vorrebbe come numero uno di Palazzo Madama. Sul nome dell’ex ministro, però, si è abbattuto il veto di Di Maio, che intende trovare un accordo con tutte le altre forze politiche per eleggere i presidenti delle Camere. “Ho sentito prima Maurizio Martina, Renato Brunetta, Giorgia Meloni, Pietro Grasso e ho riscontrato una disponibilità a proseguire il confronto, attraverso i capigruppo del MoVimento 5 Stelle Giulia Grillo e Danilo Toninelli, utile ad individuare profili all’altezza del ruolo non solo per le Presidenze di Camera e Senato, ma anche per le altre figure che andranno a comporre gli Uffici di Presidenza”, è tornato a scrivere Di Maio sul blog delle Stelle. Profili all’alltezza del ruolo vuol dire essenzialmente che il capo politico M5s non vuole sentire parlare di condannati o imputati. E Romani è, appunto, condannato per peculato.

Per questo motivo il berlusconiano prova a ridimensionare la sua vicenda giudiziaria. “Per quanto riguarda l’accusa per peculato riportata oggi su alcuni organi di stampa per l’utilizzo improprio del cellulare assegnatomi dal comune di Monza per la funzione di assessore all’urbanistica, vorrei prima di tutto chiarire che il procedimento è ancora in corso. La Cassazione, infatti, riconoscendo la tenuità del fatto, ha chiesto alla corte d’Appello di riconsiderare l’eventuale condanna. Inoltre, vorrei sottolineare che, immediatamente alla contestazione dei fatti, ho prima di tutto provveduto a risarcire le casse comunali della somma contestata di poche migliaia di euro, tanto che il comune amministrato da una giunta di sinistra non ha ritenuto di costituirsi parte civile nel procedimento”, dice Romani in una nota inviata alle agenzie di stampa.

La sua condanna a un anno e 4 mesi, infatti,  sarà ricalcolata perché gli avvocati hanno chiesto ed ottenuto di concedere le attenuanti. Il fatto è questo: lasciò alla figlia il cellulare che il Comune di Monza gli diede perché era assessore. Furono spesi 12.800 euro di bollette tra il gennaio 2011 e il febbraio 2012 tra telefonate, messaggi, connessione internet. E ora che per quei fatti rischia di perdere la poltrona di presidente del Senato, l’ex ministro prova a ricondurre tutto nell’alveo delle sue mancanze di genitore. “Si tratta – dice – di una vicenda che personalmente mi rattrista e mi mortifica perché vede coinvolta mia figlia, all’epoca dei fatti minorenne, e mette in discussione la mia capacità di padre di conciliare il lavoro e la famiglia e di esercitare come tutti il dovuto controllo. Nello stesso periodo ho infatti ricoperto parallelamente il ruolo di ministro, impegno che mi ha costretto ad essere molto assente da casa, e la mia mancata vigilanza ha comportato per mia figlia il peso di essere coinvolta, allora e tuttora a sette anni di distanza, in una vicenda negativa che la vede indebitamente protagonista sui quotidiani nazionali. Non vorrei che il dibattito politico su una scelta importante e delicata, che incidentalmente riguarda la mia persona, fosse basato sulla mia personale capacità di padre, e indirettamente gravasse sulle spalle di mia figlia, ma restasse invece all’interno dell’alveo della politica e del giudizio sull’operato, l’esperienza e il possesso di quelle caratteristiche necessarie ad assumere un così importante ruolo istituzionale”.

“Non è pensabile che, per un episodio a lui estraneo – oggetto del riesame – Romani venga escluso dalla legittima possibilità di concorrere ad un’alta carica del Parlamento”, lo difende Mariastella Gelmini. Per eleggerlo, però, non bastano i 135 voti del centrodestra, soprattutto se come sembra la partita dei presidenti delle Camere dovesse passare da una schema condiviso da tutti i partiti. Anche dai pentastellati, che difficilmente rimuoveranno il loro veto sulle pendenze giudiziarie delle aspiranti seconde cariche dello Stato. Sbarrata la strada a Romani, dunque, la poltrona di presidente del Senato tornerebbe nelle disponibilità della Lega. Nei giorni scorsi, in effetti, anche il nome di Roberto Calderoli – che del Senato è stato vicepresidente – era tra i favoriti a raccogliere la successione di Pietro Grasso. Anche su questo fronte, però, ci sarebbe il veto del M5s. A porlo è il senatore Nicola Morra, con in un post su twitter scrive: “Lo ricordiamo che la Lega, con Belsito e Bossi, ha avuto un “problemino” da 52 mln di euro?”. Sotto condivide un articolo del corriere.it dal titolo eloquente: “La mossa del Carroccio sui conti bloccati dai pm: Calderoli passa al Misto”. Insomma se il centrodestra vuole ottenere la poltrona che fu anche di Renato Schifani dovrà trovarsi un nome completamente estraneo alle vicende giudiziarie.

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