“Un po’ democristiani, un po’ di destra e un po’ di sinistra”. La rappresentazione data da Beppe Grillo del movimento è perfetta, il suo dna è interclassista: si pone al centro della scena e raccoglie le istanze più sentite dei diversi ceti sociali. Non ideologia ma programma. Non bla bla ma cose concrete da fare.

È l’ora giusta di interrogarci su quel “po’”, il troncamento della parola poco. Esistono diverse idee di società, e sono legate alla natura degli uomini e ai loro propositi. Ed esistono diverse idee di governo, che subiscono il condizionamento di quelle scelte.

Non ce n’è una che sia neutra. Se diciamo che siamo contro il governo delle élite, dei pochi, è perché riteniamo che le loro scelte sia state a favore dei pochi e a danno dei molti. È un giudizio di valore, quindi.

È probabile, per fare un altro esempio, che la politica di Trump non danneggi i ricchi. È meno probabile che aiuti i poveri se non nella misura del ricasco generale ma indeterminato nel tempo, di una ricchezza che si espande a tal punto che come la pioggia finirà per bagnare tutti.

Se io sono a favore della tassazione progressiva, chi più ha più dà, perché ritengo che la distribuzione della ricchezza debba favorire i ceti più svantaggiati, aumentare loro le tutele. Ma se aumento le tutele ai più deboli, le riduco a coloro che stanno meglio nella convinzione che essi hanno sostanza economica per difendere il proprio status.

Se invece sono a favore della flat tax, percentuale lineare fissa, aiuto maggiormente chi più ha. Elementare Watson.

E se sono dei Cinquestelle? Qui ci viene in aiuto Beppe Grillo col suo po’, troncamento di poco. Con una mano aiuto i più poveri, a cui concedo il reddito di cittadinanza, con l’altra però agevolo anche coloro che stanno meglio, riducendo le tasse più ingiuste, “tartassando” di meno.

E un po’ aiuto coloro che vanno in pensione, riformando la legge Fornero, un po’ aiuto i giovani a trovare lavoro, riducendo gli sprechi.

La teoria del po’ è infinita ma cozza, ahimè, contro il principio di realtà. Lo spreco non è solo ruberia, corruzione. Quella è illegalità. Lo spreco è anche lavoro improduttivo, finanziamenti senza coperture, tasse inevase.

Siamo certi che tutti i tartassati siano degli angioletti? Secondo me, no. Siamo certi che tutti gli evasori siano con l’acqua alla gola? Secondo me, no. Siamo certi infine che tutti i lavoratori lavorino, producano? Anche in questo caso avrei dei dubbi.

Dunque essere un partito un po’ di tutti, che distribuisce un po’ a tutti, che tiene un po’ per il ricco e un po’ per il povero, che aiuta un po’ il pensionato e un po’ il disoccupato rischia, malgrado le ottime intenzioni, di dare un po’ a chi merita e un po’ a chi no, di trasformare il furbo in bisognoso, e di giustificare anche le nostre cattive pratiche, ritenendole figlie del bisogno quando non lo sono e fondando così – magari senza volerlo – la categoria del privilegio, che è il cardine della società diseguale contro cui si era deciso di lottare.

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