Giovanni Mancuso è uno dei 497 dipendenti dell’Embraco che rischiano il licenziamento. È entrato in fabbrica a vent’anni, nel 1995 e tra le linee che producono compressori per i frigoriferi ha conosciuto sua moglie. Una storia simile a quella di tanti altri operai che lavorano in questa fabbrica a venti chilometri da Torino. “Facevo parte del ceto medio – racconta Giovanni – non riuscivo a risparmiare, ma con due stipendi in famiglia riuscivamo a vivere bene con i nostri tre figli”. L’azienda va bene e arriva ad avere oltre duemila dipendenti fino a quando decide di aprire anche in Slovacchia a metà anni Duemila: “Ci mandavano a insegnare agli operai slovacchi come si lavorava nelle linee – ricorda con amarezza – e quelli ci dicevano ma perché venite se poi il vostro stabilimento chiuderà”. Una profezia che si avvera con il piano di reindustrializzazione del 2004: i volumi produttivi si dimezzano.

La moglie di Giovanni si licenzia così come tanti suoi colleghi e il numero dei dipendenti si riduce a 800. “Una scelta che a posteriori è stata lungimirante”. Sua moglie infatti si è trovata un altro impiego, mentre oggi a rischiare il posto c’è solo Giovanni. Il 10 gennaio l’azienda ha avviato la procedura per i licenziamenti e se nulla accadrà il 25 marzo Giovanni insieme ai suoi 496 colleghi si ritroverà a casa.

Articolo Precedente

Bologna, la protesta dei rider del cibo: “Costretti a rischiare per arrivare in tempo. Se salti un week end? Non lavori più”

next
Articolo Successivo

Taranto, al via la raccolta fondi per il contro-concertone del 1 maggio: i contributi di Agnelli, Marrone, Paci e Levante

next