di Marco Marangio

“Qual è la tragedia? La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”. A parlare è Pier Paolo Pasolini nell’ultima e famosa intervista “Siamo tutti in pericolo” rilasciata a Furio Colombo poco prima di morire, il 1 novembre 1975. La profetica voce dell’intellettuale si attua sino alla fine e giunge ai giorni nostri. Le ultime notizie a riguardo del brevetto del braccialetto elettronico di Amazon, per controllare la “qualità” del lavoro svolto dai suoi dipendenti la dice lunga sulla nostra attuale situazione sociale e economica.

“Siamo tutti in pericolo” è un monito che dovrebbe risuonare nelle sorde e vacue stanze del mondo post-capitalistico. Esso è entrato nelle nostre Nazioni, nelle nostre città, nelle nostre case. Ci ha ammaliato con la velleità dell’innovazione e del falso mito del progresso. Abbiamo permesso che tutto ciò potesse modificare le nostre vite, in maniera graduale e sottile. Senza rendercene conto siamo stati fagocitati da ciò che in passato poteva essere etichettato come espressione del “capitalismo”, ma che oggi assume un valore maggiore: quello di post capitalismo, o di super capitalismo. Basti osservare il fenomeno rampante ed inglobante di Disney che ha assorbito, al suo interno, realtà di mercato diverse fra loro ma accomunate da un unico scopo: quello di vendere, sempre di più, qualsiasi tipo di prodotto ed in qualsiasi tipo di settore sia esso di intrattenimento o di abbigliamento.

I riflettori, sul caso Amazon Italia, si erano per fortuna accesi con le inchieste giornalistiche a riguardo della sede di Piacenza: dipendenti perennemente spronati a muoversi il più veloce possibile, costringendoli a seguire orari e dictat lavorativi che li costringevano a divenire sempre più simili ad automi. Ora, l’aggiunta del braccialetto elettronico sembra un’idea fantascientifica venuta fuori dai racconti dispotici di Asimov, Bradbury, Dick, Orwell.

Invece è la realtà presente. La sola possibilità di poter pensare, immaginare, attuare una idea così abominevole, da un punto di vista sia della dignità umana che lavorativa, è dovuta alla nostra tacita abnegazione al colosso dell’e-commerce. Duole dirlo, ma in larga parte siamo stati noi a rendere Amazon ciò che è oggi. Una trasformazione lenta, graduale, ma incessante e garantita dalla nostra approvazione. Dietro ogni click, dietro ogni acquisto, dall’altra parte c’è un essere umano che suo malgrado obbedisce all’ordine di eseguire nel più breve tempo possibile l’operazione.

In nome della mondializzazione ogni lavoratore è divenuto una macchina che sbatte con un’altra macchina a lui simile ed omologa. Il capitalismo ha vinto ed è ormai impossibile arginarne l’avanzata di ciò che è definito quale post capitalismo. L’unico modo che abbiamo per fare la differenza, anche minima, è cambiare il mercato con piccole azioni quotidiane: non acquistare più alcun prodotto da Amazon, potrebbe essere un piccolo tratto distintivo. Se, come affermava Feuerbach, “l’uomo è ciò che mangia”, la nostra dieta culturale, politica ed economica dovrebbe attenersi a piccole e coraggiose scelte quotidiane. È chiaro che non solo Amazon è espressione del mondo post capitalistico: Netflix, Google, Disney sono altri colossi che fanno apparire il marchio McDonald un mero prodotto artigianale (com’era in origine d’altronde). “Siamo tutti in pericolo”, è vero. Ma le nostre scelte possono ancora cambiare il futuro.

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