Veneto Banca, uno dei due istituti veneti che hanno dilapidato i risparmi di decine di migliaia di persone, si avvia verso il fallimento. Il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha infatti presentato la richiesta di stato di insolvenza, che dovrà ora essere esaminata dal Tribunale di Treviso. Si tratta di un passaggio importante di una vicenda che, sul piano giudiziario, è divisa tra Roma e il capoluogo della Marca, visto che la sede della banca era a Montebelluna. Con un eventuale fallimento si apre la prospettiva di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta oltre a quella per truffa aggravata.

A decidere sullo stato di insolvenza sarà il Tribunale, dopo aver sentito anche il parere dei liquidatori della banca e i funzionari della Banca d’Italia. Secondo la Procura, la dimostrazione dell’insolvenza sarebbe costituita dall’incapacità di Veneto Banca di pagare il 21 giugno 2017 il bond relativo alle obbligazioni subordinate che era stato emesso nel 2007. Il rimborso, pari a 150 milioni di euro, fu infatti sospeso dal governo. Quattro giorni dopo, il 25 giugno, la banca veniva messa in liquidazione. Secondo la Procura l’insolvenza deve essere verificata proprio nel momento della messa in liquidazione. E a quella data Veneto Banca non aveva soldi per far fronte ai propri impegni nei confronti dei risparmiatori.

Al momento il fascicolo penale trevigiano fa riferimento alla truffa, mentre a Roma è in corso l’udienza preliminare contro i vertici dell’istituto di credito per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Il pm De Bortoli lavora praticamente a tempo pieno al caso, visto che nella cancelleria sono state finora depositate 2.500 denunce per truffa. Fino a tre giorni fa erano 2.066, poi ne sono arrivate da Roma, contemporaneamente, altre 400. Ma il flusso non si arresta e numerose altre Procure italiane stanno provvedendo all’invio di analoghi atti. E’ quindi una cifra provvisoria. Nell’udienza di Roma, per esempio, le richieste di costituzione di parte civile sono state quattromila.

L’ipotesi di truffa aggravata è procedibile d’ufficio e quindi al momento non vi sono rischi di prescrizione. Si tratta di un’inchiesta molto complicata. Il danno è stato finora quantificato dalla Procura in oltre 200 milioni di euro. Non ci sono indagati a Treviso, visto che il fascicolo è al momento contro ignoti. Ogni denuncia indica, però, i funzionari o gli impiegati di banca con cui un cliente ha avuto rapporti e da cui sono venuti gli inviti ad investire acquistando i titoli, il cui valore è poi miseramente crollato allo zero.

L’inchiesta dovrà quindi ricostruire il ruolo che avevano, nella pianificazione delle offerte di titoli e soprattutto delle modalità di incentivazione, i vertici di Veneto Banca, i direttori, i capi area e i direttori di filiale. E’ in arrivo un maxi capo d’imputazione con decine di indagati? Il pm De Bortoli, intervistato dalla “Tribuna di Treviso”, ha invitato alla prudenza. “E’ difficile dimostrare che i dipendenti fossero a conoscenza delle reali condizioni finanziarie della banca, anche perché molti di loro hanno acquistato le azioni dell’istituto perdendo di conseguenza il denaro investito. La truffa, per essere contestata, presuppone che chi ha venduto le azioni fosse consapevole che il titolo aveva un valore effettivo inferiore”.

Le prime querele dei privati per truffa risalgono al 2015, ma l’inchiesta trevigiana è cominciata solo nel 2017 quando la Procura di Roma se ne è spogliata, tenendo per sé solo la parte che riguarda l’aggiotaggio e l’ostacolo alla vigilanza. A carico dei vertici bancari si profilano i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e falso nelle relazioni delle società di revisione. I fascicoli sono tutti in carico al pm De Bortoli che si avvale della collaborazione di un pool di finanzieri e del Nucleo di polizia tributaria di Treviso.

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