“Lo Stato non mi protegge più”. Il pentito Santino Di Matteo fa causa allo Stato presentando un ricorso al Tar contro l’esclusione dal programma di protezione. Santino è il padre di Giuseppe che aveva 13 anni quando fu rapito, il 23 novembre 1993. I boss provarono così a far ritrattare il padre. Dopo 779 di prigionia, l’11 gennaio di 21 anni fa, il ragazzino fu strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Per l’omicidio sono stati condannati all’ergastolo decine di boss mafiosi. Il padre del bambino è stato invece condannato per detenzione di armi ed è stato escluso dal programma di protezione. Due anni fa la procura di Palermo aveva chiesto il reinserimento di Santino Di Matteo: ne è nata una battaglia legale, come riporta oggi l’edizione locale di Repubblica. “Mi accusano di essere tornato a delinquere. Sì, è vero – dice – nel 1996 sono tornato in Sicilia per cercare mio figlio. Vorrei sapere chi sarebbe rimasto a casa ad aspettare?”.

Per l’omicidio del ragazzo il 25 febbraio del 2014 erano state confermate dalla Cassazione le condanne all’ergastolo per il boss Giuseppe Graviano e per Salvatore Benigno per l’uccisione e il sequestro. Sono stati condannati in appello anche Luigi Giacalone, Francesco Giuliano e il boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro. Ma solo Graviano e Benigno avevano fatto ricorso alla Suprema corte. A lanciare le accuse contro i suoi complici era stato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, condannato a 12 anni con l’applicazione dell’attenuante speciale per i pentiti. Il piccolo Di Matteo fu sequestrato il 23 novembre 1993 da un commando di mafiosi travestiti da poliziotti che su ordine di Graviano catturarono il bambino mentre si allenava in un maneggio ad Altofonte.

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