La Procura di Lecce ha riaperto l’inchiesta sul gasdotto Tap, in costruzione nel Salento per il trasporto in Italia l’oro blu dell’Azerbaijan. Ci sono elementi nuovi da valutare: non sono infondate, dunque, le preoccupazioni argomentate da otto sindaci salentini in un esposto depositato prima di Natale. Il nodo non è da poco: valutare se sia stata aggirata o meno la normativa sulla valutazione d’impatto ambientale e sull’applicazione della direttiva Seveso sul rischio di incidenti rilevanti. L’ipotesi, dunque, è di truffa e falso. Ad essere additato è il frazionamento dell’opera tra il tratto Tap e quello Snam. Stando a quanto sempre affermato dai primi cittadini e dal Movimento NoTap, oltre che dalla Regione Puglia, non sarebbero da considerarsi come due metanodotti distinti, ma uno unico. Dunque, un’unica infrastruttura dalla portata e dagli impatti maggiori. Non a caso Snam è letteralmente un “metanodotto di interconnessione”, per collegare Tap da Melendugno (Le) a Brindisi (55 chilometri), dove vi è il punto di immissione nella rete nazionale del gas.

Ad accordare la riapertura dell’inchiesta è stata la gip Cinzia Vergine, su richiesta congiunta del nuovo procuratore capo Leonardo Leone De Castris e del pm Valeria Farina Valori. Lo ha fatto a quasi un anno di distanza dalla doppia archiviazione dell’indagine da lei stessa disposta. In quel caso, a chiedere di chiudere il capitolo giudiziario era stato anche l’allora timoniere della Procura, Cataldo Motta. Sul registro degli indagati erano iscritti i nomi di Clara Risso (legale rappresentante di Tap Italia), Michele Mario Elia (country manager della società), Gilberto Dialuce (direttore generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico) e  la stessa società Trans Adriatic Pipeline.

Allora, però, la valutazione era stata circoscritta al solo gasdotto Tap. Ora c’è qualcosa di nuovo: è stato depositato anche il progetto Snam, in fase di valutazione e con le procedure di esproprio dei terreni in corso. Nei dodici ettari in cui troverà posto il terminale di ricezione di Tap, sarà ubicata anche la centrale di Snam, ampia poco più di un ettaro. E questo potrebbe far modificare il dato iniziale. Quale? Quello dei quantitativi di gas contenuti nel sito. Stando ai calcoli fatti dalla stessa multinazionale svizzera, non dovrebbero superare le 48,6 tonnellate. Appena un gradino al di sotto del limite di 50 tonnellate oltre il quale va applicata la stringente normativa Seveso. Tuttavia, già in sede di archiviazione, lo stesso gip aveva consigliato “il rispetto sostanziale e non solo formale di tale valore massimo, sicché il permanere dell’esclusione dell’opera dal campo di operatività della normativa Seveso va costantemente assicurato attraverso il costante monitoraggio della permanenza nel tempo della condizione indicata”.

Per questo i sindaci hanno chiesto alla Procura di far svolgere una consulenza tecnica d’ufficio, autonoma e indipendente e in grado di esprimersi sulla base di calcoli propri. La precedente, invece, aveva dato per buoni quelli della stessa azienda. Ora che è stato depositato il progetto esecutivo della centrale, questa operazione non dovrebbe risultare difficile. È stato contestato, poi, anche il falso inizio dei lavori: lì dove nel maggio 2016 era stata messa in piedi in fretta e furia una recinzione in plastica, ora non c’è più nulla, come documentato da materiale fotografico consegnato agli inquirenti. Non era un dettaglio: il mancato rispetto del termine avrebbe comportato la decadenza delle autorizzazioni. Su questo c’è stato anche un giallo: nel precedente decreto che ha disposto l’archiviazione, non si è fatto alcun cenno all’informativa dei carabinieri del Noe di Lecce, per i quali effettivamente non c’era alcuna attività lavorativa in corso alla data del 17 maggio. Anche questo, nuovamente, dovrà essere approfondito dalla magistratura.

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