L’economia americana ha ripreso slancio e dopo essere cresciuta più del 3% nel secondo e nel terzo trimestre dello scorso anno, dovrebbe confermarsi anche nel quarto, i cui dati ufficiali saranno disponibili solo a fine mese. La riforma fiscale di fine 2017 promette di dare un’ulteriore accelerazione alle performance delle aziende, ma nonostante gli appelli di Donald Trump, al momento i benefici non sembrano ricadere sui lavoratori, rischiando di esacerbare la già crescente disuguaglianza sociale.

La riforma ha rivoluzionato l’ecosistema fiscale americano, portando l’aliquota per le imprese dal 35 al 21% in maniera permanente e prevedendo una riduzione fino al 2025 per le persone fisiche. Costerà complessivamente 1.500 miliardi di dollari, che andranno a far lievitare il debito pubblico nei prossimi 10 anni. Il 2 gennaio Trump ha twittato: “Le società stanno assegnando grossi bonus ai loro lavoratori grazie al Tax Cut Bill. Really great!”. In realtà sono solo poche decine le società che fanno parte del S&P 500 ad aver incrementato i salari, assegnato bonus o previsto benefit per i dipendenti. Tra queste, al momento: American Airlines, AT&T, Bank of America, Comcast, Fifth Third Bancorp, Regions Financial, Southwest Airlines, U.S. Bancorp, Wells Fargo e Zions Bancorp, che hanno annunciato un incremento della paga base a 15 dollari l’ora o un bonus speciale di 1.000 dollari. Non molto se confrontato con quanto gli effetti della riforma permetteranno di far risparmiare alle società. Wells Fargo per esempio, protagonista di uno dei maggiori scandali finanziari degli ultimi anni per aver aperto oltre 3,5 milioni di conti falsi a nome di ignari clienti, portando i salari minimi a 15 dollari e incrementando la beneficenza del 40% investirà nel 2018 sui dipendenti e in donazioni circa 215 milioni di dollari, che secondo le stime della banca d’investimento Kbw rappresentano appena il 5% di quanto il colosso finanziario beneficerà dalla riforma.

Eppure l’anno appena concluso è stato sorridente alle aziende americane. Secondo le stime della multinazionale dell’analisi finanziaria FactSect, gli utili per azione delle stesse 500 società del listino di Standard & Poor’s sono cresciuti nel 2017 del 9,5%, l’incremento maggiore dal 2011. Le prime stime ufficiali sull’andamento dell’ultimo trimestre del 2017 saranno pronte a fine gennaio, ma i dati suggeriscono una sostenuta crescita dell’economia nel complesso dello scorso anno. Se il primo trimestre si era chiuso con un incremento del Prodotto interno lordo inchiodato sull’1,2% rispetto all’anno precedente, il secondo e il terzo hanno fatto registrare una netta inversione di rotta, al 3,1 e al 3,3 per cento. Per la prima volta negli ultimi 3 anni l’economia Usa è riuscita a crescere più del 3% su base trimestrale, una performance che potrebbe essere confermata anche nel quarto trimestre.

Diffusa lo scorso 3 gennaio, la nuova edizione del Manufacturing Ism Report on Business, rapporto di ricerca nazionale generato mensilmente dall’Institute for Supply Management sull’andamento del settore manifatturiero negli Stati Uniti, ha segnalato nel mese di dicembre un indice a quota 59,7 punti, in rialzo rispetto ai 58,2 punti della lettura precedente, superando le stime degli analisti. Positivi anche i dati sugli investimenti nell’edilizia rilasciati dal Census Bureau. La spesa complessiva a novembre è cresciuta dello 0,8% rispetto a ottobre e del 2,4% rispetto a novembre dello scorso anno. Trainati dalle costruzioni private, in crescita del 6,5%, mentre il pubblico fa registrare un calo del 2,8%, gli investimenti nelle costruzioni si sono attestati nei primi 11 mesi del 2017 a 1.138 miliardi di dollari, complessivamente anno su anno con un segno più del 4,2 per cento. Performance che hanno spinto la Federal Reserve di Atlanta ad aggiornare al rialzo il proprio indicatore sulla crescita del Pil denominato GdpNow dal 2,8% del 22 dicembre al 3,2% del 3 gennaio. Un dato che comprende la nuova crescita dei consumi, dal 2,9 al 3,3%, e degli investimenti immobiliari privati, dal 7,9 all’8,9 per cento.

Con un tasso di disoccupazione ai minimi dal 2001, l’economia Usa ha ripreso slancio, ma deve fronteggiare il problema della disuguaglianza sociale, che fa registrare ormai livelli record. Gli ultimi dati forniti dalla Federal Reserve, riferiti al 2016, indicano che l’1% più ricco detiene il 38,6% della ricchezza delle famiglie Usa, mentre il 90% meno ricco ne detiene appena il 22,8 per cento: era circa un terzo nel 1989, ovvero quando la Fed ne ha iniziato la misurazione. Lo stesso istituto ha riconosciuto commentando i valori che la distribuzione della ricchezza “negli ultimi anni ha visto crescere sempre più la sua disuguaglianza”. Secondo una recente indagine del Pew Research Center, il 49% degli americani ritiene che i propri salari stiano crescendo meno del costo della vita, e solo il 29% crede le misure di Trump abbiano migliorato le condizioni dell’economia. Una percentuale che crolla al 19% tra le famiglie con un reddito annuo inferiore ai 30.000 dollari.

Lo scorso novembre Gary Cohn, direttore del ramo dell’ufficio esecutivo del Presidente degli Stati Uniti d’America, il National Economic Council, ha dichiarato alla Cnbc: “Non stiamo ancora facendo crescere i salari in questo Paese”. E la riforma fiscale non pare aiutare. “È difficile immaginare che porti a una crescita più inclusiva”, ha dichiarato la banca di investimento Hsbc secondo quanto riportato dalla Cnn, e questo perché i maggiori guadagni della nuove misure andranno a ricchi e aziende. E se il governo non riuscisse a invertire la rotta, la banca avverte che “perdurerà la rabbia e il sostegno ai partiti populisti continuerà a crescere”.

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