Da un lato “adesione totale” allo sciopero di 24 ore proclamato per protestare contro il piano da oltre 4mila esuberi prospettato dall’acquirente Am Investco; dall’altro il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che ha fatto saltare il tavolo in corso al Mise con Ancelor Mittal e le parti sociali. Il motivo? “Non ci sono garanzie sufficienti per i lavoratori”. La questione Ilva irrompe nell’agenda politica del governo e nelle strade che ospitano gli stabilimenti del colosso siderurgico. Che quella di oggi fosse una giornata campale, del resto, non è una novità. Diverso, invece, il discorso per la decisione del titolare dello Sviluppo economico, il quale ha comunicato ad Arcelor Mittal che “non è accettabile aprire il tavolo senza garantire le condizioni salariali e contrattuali dei lavoratori“. Il tavolo pertanto è stato annullato e l’azienda dovrà tornare al tavolo dopo un confronto con gli azionisti. Se ciò non avvenisse, il governo, ha detto ancora Calenda, “sarebbe pronto a mettere in campo tutto quanto nelle sue prerogative per il rispetto degli impegni presi”.

Le parole di Calenda: “Am Investco non ha rispettato i patti” – La spiegazione alla base della decisione presa da Calenda è semplice: Am Investco non ha rispettato i patti. “Il governo è sulla sua linea di sempre ma rispetto all’offerta a mancare non sono i numeri degli esuberi su cui si può discutere e che fanno parte della trattativa – ha sottolineato il componente del l’esecutivo Gentiloni – ma un pezzo dell’impegno che l’acquirente ha preso nei confronti del governo che riguarda i livelli salariali e gli scatti di anzianità su cui non si prevedeva di ripartire da zero ma anzi di mantenere quelli attuali”. “In assenza di conferma su questo punto, molto importante” Calenda non ha ritenuto che ci fossero “le premesse per aprire un tavolo di confronto”. Tradotto: tavolo annullato perché l’acquirente non ha rispettato i patti. Anzi, ha detto Calenda, “in questi termini l’apertura del tavolo è irricevibile per quanto riguarda salario ed inquadramento dei lavoratori“. Quale sarà la prossima mossa? “Bisogna ripartire dall’accordo di luglio, dove si garantivano i livelli retributivi. Se non si riparte da quell’accordo la trattativa non va avanti” ha spiegato Calenda ai giornalisti che all’uscita del Mise gli chiedevano spiegazioni sulla brevissima durata del tavolo al Mise.

Anche sui 4mila esuberi il ministro ha detto una cosa ben precisa: “Tutti i lavoratori verranno tutelati – ha annunciato – Chi non viene preso dalla società entrante rimane in carico alla amministrazione straordinaria che deve fare la bonifica e ha già in cassa 1,3 miliardi per farla. Confermo quindi che nessuno viene lasciato per strada. Il governo sa di essere all’inizio di una trattativa – ha detto ancora – Vuole diminuire il numero degli esuberi e trattare sulle condizioni dei lavoratori”. La delegazione dei vertici di ArcelorMittal, dal canto suo, ha fatto sapere di essere “rimasta sconcertata” dalla decisione di Calenda. Una fonte vicina alla cordata Am InvestCo alle agenzie di stampa ha sottolineato che la decisione è stata “del tutto inattesa”. La delegazione guidata dal Ceo della divisione europea Geert Van Poelvoorde e dal presidente e amministratore delegato di Am Invest Co Matthieu Jehl “si è presentata al Mise, in tutta buona fede, sperando di avviare una trattativa che possa però essere sostenibile da tutti i punti di vista, compreso quello economico“.

Lo sciopero: “Adesione totale” dicono i sindacati – “La giornata è iniziata in tutti gli stabilimenti Ilva con la mobilitazione dei lavoratori proclamata dalle organizzazioni sindacali a sostegno della trattativa. Dai primi dati l’adesione a Taranto, Genova, Novi Ligure, è totale“.


video di Pietro Barabino

Ha avuto successo, stando ai primi dati diffusi dal segretario generale Fim Cisl Marco Bentivoglilo sciopero di 24 ore dei dipendenti Ilva indetto per protestare dopo che venerdì scorso ArcelorMittal ha annunciato che ci saranno oltre 4mila esuberi in tutta Italia e gli altri 10mila dipendenti saranno licenziati e riassunti senza le tutele dell’articolo 18. Intanto si è saputo che è saltato l’incontro che si doveva tenere al ministero dello Sviluppo economico per discutere il piano dell’acquirente Am Investco, joint venture tra il gruppo franco-indiano Arcelor e Marcegaglia. Il ministro Carlo Calenda ha fatto sapere che non c’erano le condizioni per proseguire.

Sui 4mila esuberi programmati 3.300 saranno a Taranto, dove davanti alle portinerie A, D, Tubifici e imprese sono in corso presidi di lavoratori e sindacati. È previsto che gli operai convergano verso la direzione per un’assemblea. Il governo ha garantito che non lascerà nessuno senza tutele, ma per i sindacati si parte da una base di confronto inaccettabile. A preoccupare sono soprattutto le condizioni che dovranno essere accettate dai lavoratori che passeranno alle dipendenze di Am Investco. Innanzitutto, fanno rilevare i sindacati, perderanno le garanzia dell’art.18 perché saranno riassunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act. Inoltre non ci sarà alcuna “continuità rispetto al rapporto di lavoro” precedente “neanche in relazione al trattamento economico e all’anzianità”. Ora toccherà ai sindacati trattare per riuscire a mantenere i livelli retributivi.

“Il fermo in fabbrica durerà finché non abbiamo una convocazione da parte del governo sul caso Genova. Noi vogliamo qualcuno che a nome del governo, non nascondendosi dietro a Mittal, ci dica se si rispettano o no le leggi dello Stato. Io non ho mai visto un governo strappare così una legge dello Stato”, ha detto il segretario provinciale della Fiom Cgil Bruno Manganaro.

Pinotti: “Rivedere le condizioni peggiorative per i lavoratori” – “I lavoratori hanno ben compreso – ha detto Bentivogli – che le basi su cui si articola il piano industriale vanno radicalmente modificate. Continuiamo a ribadire, come in tutti questi anni, che è possibile modificare il piano affinché si rilanci la produzione dell’acciaio, si salvaguardi l’ambiente e si escludano licenziamenti”. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, intervistata da La Stampa e Repubblica, sostiene che “il governo sta al fianco delle preoccupazioni dei lavoratori e non certo dall’altra parte”. “Ne ho parlato con il ministro Calenda – ha detto ancora Pinotti – e anche con il viceministro Bellanova e il ministro invita tutti a un confronto schietto e democratico (…) noi vogliamo lavorare per diminuire il numero degli esuberi e per rivedere le condizioni che possono essere peggiorative dal punto di vista dei lavoratori”. Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, dal canto suo, ricorda che “Ilva è fallita” e “chi viene per salvarla apre una trattativa sulla riduzione del costo del lavoro“. E ancora: “Come fai a gestire un’impresa fallita, con un appesantimento di Aia? Non si possono imporre standard altissimi di presidi ambientali che comportano extra-costi rispetto ai concorrenti, e poi pensare che non succeda nulla e non si scarichi su niente. Bisogna essere realisti”, afferma il patron della Duferco. “Le condizioni ambientali sono così draconiane che si è cercato di trovare efficienza in tutti i modi possibili”.

A Genova lo striscione “Pacta servanda sunt” – Dopo l’assemblea all’alba davanti allo stabilimento genovese i dipendenti hanno lasciato il cantiere per dirigersi verso il centro città per un presidio sotto la sede della Prefettura. In testa al corteo due striscioni, il primo che ricorda: Pacta servanda sunt e il secondo che recita: In lotta senza paura per il lavoro e per Genova. La richiesta dei sindacati è quella di ottenere il rispetto dell’accordo di programma 2005 che riguarda lo stabilimento di Genova, che prevedeva il mantenimento della continuità produttiva dopo la chiusura dell’area a caldo, con nuovi investimenti, e garantiva i livelli occupazionali e la continuità di reddito per i dipendenti. La mobilitazione degli operai dell’Ilva ha ricevuto il sostegno di tante realtà genovesi tra cui quella dei lavoratori portuali, un gruppo dei quali in questi minuti si sta radunando in via Balleydier oltre a vigili del fuoco e a delegazioni dalle principali industrie di Genova.

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