Johann Wolfgang Goethe non è soltanto una delle voci più alte e nobili della letteratura mondiale. Al di là dei rinomati meriti d’eccellenza letteraria, ben altri motivi ci ispirano profonda ammirazione per la sua singolare figura di poliedrico sapiente moderno, fiero erede e custode, elegantemente occulto, della sotterranea tradizione esoterica occidentale.

Goethe ha rappresentato con la sua opera un ponte dorato verso la conoscenza orientale, o meglio verso la consapevolezza della vanità delle identificazioni e contrapposizioni tra civiltà millenarie che tuttora infestano il dibattito culturale.

Non ci riferiamo soltanto al Divano Occidentale-Orientale, la silloge poetica composta tra il 1814 e il 1819 ispirata all’opera del poeta persiano Hafez, maestro del ghazal, forma poetica spesso usata dai mistici Sufi, accostabile metricamente al sonetto, che usa il lamento della distanza erotica talvolta come metafora del desiderio mistico di ricongiungimento col divino.

Il vero legame profondo, illuminante con la cultura orientale appare innegabile nella visione della conoscenza come un sapere globale, non separato in categorie artificiali, alla ricerca dell’origine fondante e formante d’ogni forma. Come scrive Valentino Bellucci in una nota del suo La Chiesa di Darwin (Harmakis Edizioni), “Goethe non fu uno scienziato ‘dilettante’, ma intravide il futuro di una scienza sana, in grado di riunire tutti gli aspetti dell’essere umano: fisico, mentale e spirituale”.

Del resto, lo stesso autore tedesco appose un prologo al Faust ispirato a quello dell’opera sanscrita Sakuntala del leggendario autore Kalidasa, drammatizzazione di un racconto presente nell’immenso poema Mahabharata. Un’opera che lo folgorò a tal punto da ispirargli un celebre commento poetico: “Affascina e incanta, appaga, fa estasiare e alimenta l’anima, armonizza la terra e il cielo”.

Stante dunque questo dialogo con la cultura orientale, non ci appare certo peregrina l’idea della regista Anna Peschke di rappresentare l’adattamento in cinese, realizzato da Li Meini, del capolavoro di Goethe: Faust. Una ricerca sul linguaggio dell’Opera di Pechino, andato in scena al Teatro Argentina di Roma dal 7 al 12 marzo. Del resto, ci eravamo già occupati di un altro evento teatrale orientale, nella stessa location.

A differenza del fascino ipnotico del teatro nō, lo stile Jingjù, codificato verso la fine del ‘700, combina canto e recitazione in una forma più vivace e spettacolare.

Comprensibile per la resa teatrale del vasto poema (meno per la riflessione filosofica) è la scelta di mettere in scena solo la tragica storia d’amore del protagonista con l’innocente Margherita, condotta alla follia e alla vergogna dalla “infausta” seduzione di Faust, corruttore inconsapevole offuscato dalle ingannevoli promesse mefistofeliche.

Dal punto di vista squisitamente estetico, lo spettacolo è esaltante, grazie non solo alla potente suggestione della musica del vivo (musiche originali di Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani e Chen Xiaoman), al fascino dei meravigliosi costumi e alla sapiente armonia coreografica dei movimenti in scena. A imporsi è il talento degli attori: menzioniamo solo il brillante fascino luciferino di Xu Mengke nei panni di Mefistofele e la bravura di Zhang Jiachium, impressionante nel trasformare il suo volto in pochi secondi da sorriso innocente a maschera folle, nel tragico epilogo di Margherita.

Il valore, certo, più alto dell’evento teatrale è celebrare l’inesauribile importanza e la perenne attualità del capolavoro goethiano, in ogni tempo e ad ogni latitudine.

Una splendida conferma del valore universale, al di là delle illusorie barriere di identificazione culturale. della grande letteratura, quella che non si limita ad essere ricettacolo degli sfoghi autoreferenziali dell’autore, ma che al contrario è in grado di accedere alla sorgente degli archetipi.

Una visione creativa riassunta da Goethe nel titolo della sua autobiografia (talmente celebre da ispirare la parodia di Thomas Mann Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull), in quello che appare un vero e proprio comandamento etico ed estetico: Dalla mia vita: Poesia e Verità.

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