La Buona Scuola bis è andata in porto. Venerdì mattina il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo a otto decreti attuativi che introdurranno nel sistema d’istruzione italiano dei cambiamenti. Tante le novità: per insegnare alla secondaria di primo e secondo grado dopo la laurea si dovrà fare un percorso triennale di tirocinio, i bambini disabili avranno finalmente diritto alla continuità didattica grazie alla possibilità di stipulare con i supplenti contratti pluriennali, chi insegnerà ai nidi e alla scuola dell’infanzia dovrà essere laureato, sparisce l’Invalsi dall’esame di terza media, diminuiscono le prove alla maturità e arriva il voto in “Cittadinanza e Costituzione” alla primaria.

Restano, invece, i voti espressi in numeri e le bocciature alla scuola elementare e rimane obbligatorio fare l’Invalsi per essere ammessi all’esame di Stato. Nonostante i pareri della settima Commissione del Senato e i dubbi sollevati da numerosi pedagogisti si continueranno a mettere in pagella dei 4 e dei 6 ai bambini. A bocciare il provvedimento adottato dal Consiglio dei ministri è Daniele Novara, pedagogista, fondatore del centro per l’educazione e la gestione dei conflitti, autore di oltre 50 libri sulla scuola: “Sono passati quattro Governi di centrosinistra, ma nessuno ha cancellato le disposizione dell’ex ministro di Forza Italia, Maria Stella Gelmini. Ancora una volta si sono affrontati i problemi sotto il profilo dell’architettura istituzionale e sindacale senza andare oltre. È rimasta l’Invalsi, non si è pensato a realizzare i comitati-genitori che ci sono in tutta Europa, non si è tolta definitivamente la bocciatura. Dove sono gli alunni, i genitori, in tutto questo? Come è possibile non aver ripensato in toto il sistema di valutazione che fa acqua da tutte le parti?”.

Vediamo punto per punto i decreti più importanti

In merito al reclutamento, oggi chi vuole diventare insegnante della scuola secondaria deve abilitarsi, dopo la laurea, attraverso un tirocinio formativo. L’abilitazione dà accesso alle graduatorie di istituto per le sole supplenze. Per entrare in ruolo, infatti, bisogna attendere e superare un concorso. Con l’approvazione del nuovo decreto, tutti i laureati potranno partecipare ai concorsi, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche. I concorsi avranno cadenza biennale, il primo sarà nel 2018. Il nuovo concorso prevede due scritti (tre per il sostegno) e un orale. Chi lo passa entra in un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio, con una retribuzione crescente (660 euro lordi il primo anno) che parte fin dal periodo della formazione. I docenti vengono valutati per tutta la durata del percorso. Alla fine del triennio, se la valutazione è positiva, vengono immessi in ruolo. A prima vista sembra una vera e propria rivoluzione, ma secondo Novara siamo rimasti all’Ottocento: “Lo sbarramento è sempre lo stesso, il concorso. Nel decreto c’è un tentativo di migliorare il reclutamento nella scuola attraverso un tirocinio degli insegnanti dopo la laurea e il concorso. Resta un problema: si è mai visto che quando un insegnante è nel sistema qualcuno gli dice che non è idoneo? Era necessario, come in tutte le altre professioni sensibili, inserire dei test psicoattitudinali. Il concorso va eliminato, è uno dei metodi più inutili ed equivoci. Siamo ancora al punto di verificare se un professore conosce la fisica, ma non si valuta se è in grado di attivare processi di apprendimento della fisica”.

Sull’inclusione degli studenti disabili il ministero sostituisce il Tfa per gli insegnanti di sostegno con un corso di specializzazione ad hoc di circa due anni. Con questo provvedimento l’assegnazione del personale Ata (che dovrebbe avere compiti specifici in merito) terrà conto della presenza di alunni diversamente abili. La vera novità è che in caso di un rapporto positivo con l’alunna o l’alunno e su richiesta delle famiglie i docenti con contratto a termine potranno essere riconfermati per più anni senza passare dalle annuali trafile di assegnazione della supplenza. Resta una criticità che solleva Novara: “Nella commissione medica per l’accertamento della disabilità, la figura dei pedagogisti non c’è: continua imperterrito il processo di medicalizzazione della scuola”.

Si arricchiscono i percorsi di istruzione professionale: gli indirizzi a partire dal prossimo anno scolastico passano da sei a undici.

La partita dello 0-6 si è conclusa con l’istituzione per la prima volta del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni con l’istituzione di un fondo specifico per l’attribuzione di risorse agli enti locali (239 milioni). Due le novità importanti. La prima: chi insegnerà al nido dovrà avere la qualifica universitaria. La seconda: sarà istituita una soglia massima per la contribuzione da parte delle famiglie. Tutto ciò non basta. Novara valuta in maniera positiva la qualificazione del personale dello 0-3 ma “la cosa più logica – spiega il pedagogista autore di L’essenziale per crescere – sarebbe stata quella di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia. In Svizzera dai quattro anni è obbligatorio andare a scuola”.

Cambiano le regole anche per i professori che decidono di andare ad insegnare nelle scuole italiane all’estero. I tempi di permanenza fuori dall’Italia passano dai nove anni attuali a due periodi di sei anni scolastici che dovranno però essere intervallati da un periodo di sei anni nelle scuole italiane del Paese.

Riguardo la valutazione, la ministra Valeria Fedeli, ha avuto meno coraggio rispetto ad altri temi e nonostante le osservazioni sollevate da Camera e Senato, le petizioni nate tra pedagogisti e maestri, pochi sono i cambiamenti effettivi.  La discussione “lettere” o “numeri” è terminata con la vittoria del metodo Gelmini: il quattro e il sei restano. Una delusione per Novara e probabilmente anche per qualche parlamentare del Pd che aveva sostenuto il cambiamento: “I numeri sono arcaici, cristallizzano, vanno nella logica di etichettare l’allievo rispetto a quello che sa o meno fare senza tener conto della sua evoluzione”.

Anche la bocciatura alla primaria resta anche se nella pratica sarà resa impossibile, visto che nel decreto si specifica che “l’ammissione è prevista anche in caso di livelli di apprendimento “parzialmente raggiunti o in via di acquisizione”. Inoltre le scuole che decidono di fermare un alunno (nell’ultimo anno sono stati più di 11 mila i non ammessi alle elementari) dovranno attivare specifiche strategie di miglioramento, una sorta di “recupero” che varrà anche per coloro che sono ammessi anche senza aver raggiunto i traguardi previsti.

Arriva, inoltre, il voto in “Cittadinanza e Costituzione” che entra a far parte anche dell’orale dell’esame del primo ciclo.

“La buona notizia – spiega il pedagogista – è che l’Invalsi non fa più parte dell’ esame di terza media ma speriamo sia abolito totalmente questo inutile test a crocette”. L’Invalsi resta infatti un requisito necessario per essere ammessi alla maturità: in questo modo il diritto di sciopero degli insegnanti che dissentono dall’uso del test verrà messo in discussione.

Infine, prove più leggere all’esame del primo ciclo e alla maturità. Nel primo caso si passa da quattro a tre scritti e un colloquio. Nel secondo sparisce il “quizzone”, ma lo svolgimento dell’alternanza scuola-lavoro diventa un requisito di ammissione. Nessuna novità, invece, per la commissione: alla fine arriveranno ancora tre esterni più il presidente e tre interni alla scuola.

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Buona Scuola, ultimi decreti approvati. ‘E’ mancato il coraggio di cambiare davvero’

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