Quando fu prelevato dall’Afghanistan, nel 2002, e trattenuto per due anni nella prigione di massima sicurezza di Guantanamo, il cittadino britannico Ronald Fiddler, divenuto Jamal al-Harith dopo la conversione, era sospettato di essere legato ai terroristi di al-Qaeda e di “conoscere i metodi di trattamento dei prigionieri e le tecniche d’interrogatorio dei Taliban”. Sì, perché prima di essere liberato dalle forze speciali statunitensi che lo hanno trovato in una prigione talebana di Kandahar, al-Harith era stato catturato dai combattenti islamisti afghani con l’accusa di essere una spia inglese o americana. Dopo la sua liberazione da Guantánamo, nel 2004, e un risarcimento di un milione di sterline da parte del governo britannico per i maltrattamenti subiti in prigione, né i servizi segreti statunitensi né quelli della Corona si sarebbero immaginati che dietro questo 50enne originario di Manchester si nascondesse Abu-Zakariya al-Britani, il nom de guerre con il quale è entrato a far parte dello Stato Islamico e, il 21 febbraio, si è fatto esplodere combattendo l’esercito iracheno a Mosul.

Figlio di cattolici praticanti giamaicani immigrati in Gran Bretagna, Fiddler, classe 1966, si avvicina all’Islam intorno ai 20 anni. Per la sorella questo era un tentativo per uscire da un’infanzia problematica. Una nuova strada, quella del giovane Ronald, che lo ha portato a viaggiare fin dai primi anni ‘90 in diversi Paesi musulmani del Medio Oriente e dell’Africa Centrale. Viaggi che, una volta analizzati dalle autorità statunitensi e britanniche, hanno mostrato possibili collegamenti con cellule terroristiche internazionali.

Secondo i documenti del Dipartimento della Difesa americano relativi ai prigionieri di Guantanamo e pubblicati dal Guardian (qui), il suo primo viaggio è stato in Sudan, nel 1992, in compagnia di un personaggio di spicco di al-Qaeda, Abu Bakr, proprio negli anni in cui l’organizzazione guidata da Osama bin Laden stava mettendo radici e costruendo campi d’addestramento nel Paese. In alcune conversazioni intercettate in carcere con altri detenuti, Fiddler, ormai già al-Harith, racconta di essere stato anche a Jeddah, in Arabia Saudita, e in Pakistan nei primi anni ’90. Tutti spostamenti di cui, però, non è stato possibile avere conferme secondo il report della Difesa Usa. Ciò che gli agenti hanno appurato, però, è che la scuola che al-Harith diceva di aver frequentato in Sudan in realtà non esiste. A Khartoum, però, si trovava un centro studi islamico noto per essere un campo di reclutamento e addestramento dove si insegnavano tecniche di sabotaggio, di rapimento, di combattimento e per la creazione di ordigni esplosivi.

Il viaggio che lo porterà dritto nelle celle del carcere di massima sicurezza americano, però, è quello del suo ritorno in Pakistan, nel 2001. Da lì, ha raccontato alle forze di intelligence americana e britannica, ha pagato un autista nel tentativo di raggiungere l’Iran. È stato però fermato al confine con l’Afghanistan e catturato dai Taliban con l’accusa di essere una spia inglese o statunitense. Portato in una prigione di Kandahar gestita dai terroristi afghani, la sua liberazione è avvenuta solo nel 2002 per mano delle forze speciali statunitensi che, per interrogarlo sui motivi della sua presenza nel Paese e cercare di ottenere informazioni sulle tecniche di incarcerazione e interrogatorio talebane, lo hanno trasferito nel carcere in territorio cubano.

È qui che il futuro combattente dello Stato Islamico è stato sottoposto, per due anni senza processo, a continui interrogatori condotti sia dagli 007 americani che britannici. Solo dopo la sua liberazione, nel 2004, l’uomo ha denunciato i maltrattamenti e le violenze subite durante questi interrogatori. Ha parlato di calci, pugni, privazione del sonno, umiliazioni corporali e malnutrizione. Per questi motivi, ha denunciato i servizi britannici che, secondo il suo racconto, erano presenti durante i maltrattamenti, ottenendo così un risarcimento dallo Stato di un milione di sterline. Fu l’allora segretario all’Interno britannico, David Blunkett, a dichiarare che nessuno dei prigionieri che lui era riuscito a far scarcerare da Guantanamo sarebbe stato “veramente una minaccia per il popolo britannico”.

Nonostante la popolarità ottenuta e i soldi ottenuti grazie anche a interviste rilasciate ai media britannici, l’uomo non è mai riuscito a reinserirsi. La sorella, anni dopo, ha infatti denunciato la sua condizione, spiegando che le accuse di terrorismo, anche se cadute, non gli permettevano di trovare un lavoro e iniziare una nuova vita. Probabilmente, però, al-Harith non si è mai deradicalizzato. Così, nel 2014, arriva la sua ultima trasformazione: diventa Abu-Zakariya al-Britani e parte per la Siria diventando un combattente fedele al Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi e futuro Shahīd, martire, delle bandiere nere. A niente è valso il tentativo della moglie, Shukee Begum, che nel 2015 lo ha raggiunto con i suoi cinque figli per cercare di convincerlo ad abbandonare il jihad: è dovuta fuggire per non rimanere intrappolata nel Califfato. Così, il 21 febbraio, Abu-Zakariya ha potuto portare a termine la sua missione: diventare un martire difensore dello Stato Islamico.

Twitter: @GianniRosini

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