“È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana”.

Il Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità vuole contrastare quello che ritiene essere il collasso progressivo della scuola italiana. Così ha elaborato una lettera-appello indirizzata al Presidente del Consiglio, alla ministra dell’Istruzione e al Parlamento, con la quale chiedono di rimettere al centro della didattica del primo ciclo scolastico le competenze linguistiche di base: scrivere e parlare in italiano corretto, possedere un buon bagaglio lessicale, conoscere grammatica e sintassi. La lettera è stata inviata ai docenti di tutta Italia perché possano sottoscriverla. In pochi giorni è stata fatta propria da “oltre 230 docenti universitari”, tra i quali Accademici della Crusca, linguisti, perfino rettori, ma anche pedagogisti e storici, filosofi e sociologi, scrittori e matematici, costituzionalisti e storici dell’arte, neuropsichiatri infantili ed economisti.

“A fronte di una situazione così preoccupante il sistema scolastico non reagisce in modo appropriato – prosegue la lettera – anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti – si legge ancora – ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema. Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti, oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti insegnanti, né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti”.

Il Gruppo di Firenze sottolinea criticità ormai sclerotizzate di un sistema che riforme piccole e grandi hanno progressivamente depotenziato. E indica anche un obiettivo insostituibile, cioè “il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici di base da parte della grande maggioranza degli studenti”. Le linee di intervento proposte, scandite in punti, sono chiare. Innanzitutto “una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari. Tali indicazioni dovrebbero contenere i traguardi intermedi imprescindibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni”.

Poi “l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano”. Già, le “competenze di base” e le “verifiche nazionali periodiche”. Ovvero i capisaldi della scuola dell’Italia che fu. “Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base”, sostengono i promotori della lettera-appello.

“Questi momenti costituirebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occasione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza drammatizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro”, spiega il gruppo di Firenze. “Riteniamo che per fermare questa allarmante deriva sia necessario rivedere le indicazioni nazionali della primaria e delle medie”, scrivono i docenti universitari. Il rischio? Che l’italiano, corretto, lo sappiano scrivere e parlare solo in pochi. Che all’università si debba provare a correggere mancanze della scuola.

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