Donald Trump ha nominato Neil Gorsuch per il seggio vacante alla Corte Suprema. Gorsuch sostituisce Antonin Scalia, scomparso nel febbraio 2016. Quarantanove anni, nato in Colorado, Gorsuch è un giudice di provata fede conservatrice, proprio come Scalia. E, come Scalia, è un giurista di profonda dottrina, uno scrittore di sentenze raffinato, un uomo dalla personalità particolarmente brillante. A differenza di Scalia, tende però a cercare compromessi e non a dividere. Nominandolo, Donald Trump mette in seria difficoltà i democratici – che si trovano a dover fare opposizione contro una figura comunque degna – e apre probabilmente una nuova fase di scontri e instabilità nella politica americana.

Trump ha preparato con grande cura la nomina. Il nome del designato è stato tenuto accuratamente nascosto; nelle ore precedenti l’annuncio, dall’amministrazione è filtrata la notizia che due giudici, Gorsuch appunto e l’altro candidato, Thomas Hardiman, erano diretti a Washington per la possibile designazione. Il clima da show televisivo è stato enfatizzato all’eccesso da Trump, che spiegava: “Ho scelto un nome, ma potrei cambiare idea all’ultimo momento”.

Alla fine, quando Trump è salito sul podio della Casa Bianca per l’annuncio (via Facebook Live, con tutto lo stato maggiore repubblicano e i figli Eric e Donald Jr. schierati davanti a lui) il nome di Gorsuch era ormai di pubblico dominio. “Quando il giudice Scalia è scomparso improvvisamente, ho fatto una promessa agli americani – ha detto Trump – ho promesso che se fossi stato eletto, gli avrei dato il miglior giudice per la Corte Suprema. Ho promesso che avrei selezionato qualcuno che rispetta la legge e rappresenta la Costituzione… e che la interpreterà per come è scritta”. Introducendo quindi Gorsuch, con la consueta baldanza sui superlativi, il presidente lo ha definito “il miglior giudice per quel posto”.

Nel discorso di ringraziamento, con accanto la moglie, Gorsuch ha lodato il suo predecessore Scalia. Ha ricordato i tratti essenziali per un giudice – “imparzialità, indipendenza, collegialità e coraggio” – e ha reso omaggio al Senato, che dovrà confermarlo. Gorsuch ha poi fatto esplicito riferimento alla sua interpretazione restrittiva, testuale e originalista della Costituzione: “Nel nostro ordine legale, spetta al Congresso e non alle corti scrivere le nuove leggi”, e ha concluso con un accenno a famiglia e religione: “Sono così grato stasera alla mia famiglia, ai miei amici e alla mia fede”.

Figlio di una madre che ha guidato l’Environmental Protection Agency sotto Ronald Reagan, cresciuto a Boulder, Colorado, e a Washington D.C., Gorsuch è un figlio perfetto del sistema Ivy League americano; ha frequentato Yale e Harvard, dove era compagno di Barack Obama. Nominato in Corte d’Appello da George W. Bush, Gorsuch non ha mai fatto mistero di essere un “originalista”, di credere cioè che la Costituzione vada interpretata con lo spirito di chi l’ha vergata, e non continuamente aggiornata secondo le istanze del presente. Non si è espresso molto su una serie di questioni che interessano da vicino i conservatori – aborto, diritti gay e Secondo Emendamento – ma ai conservatori piacciono sicuramente le sue posizioni in tema di libertà religiosa.

Ha per esempio votato a favore di una società, la Hobby Lobby Stores, che rifiutava di concedere i servizi contraccettivi alle proprie dipendenti – come richiesto dall’Obamacare – perché “contrari alle proprie convinzioni religiose”. Dire che le imprese hanno diritto a convinzioni religiose, significa dire anche che le imprese hanno diritto alle protezioni del Primo Emendamento sulla libertà di parola; quindi, che possano finanziare liberamente la politica. Sarà, questo, un punto centrale della probabile opposizione dei democratici. Altra questione che porrà Gorsuch in conflitto con molti progressisti è l’idea che le agenzie del governo federale abbiano l’ultima parola, più delle corti, su statuti e norme di dubbia interpretazione: una visione che rischia di spezzare l’equilibrio dei poteri a favore del governo federale. Potrà piacere invece a liberal e libertarian il suo sostegno al Quarto Emendamento, che protegge l’individuo da intrusioni eccessive del governo federale (un tema molto caro anche al suo maestro Scalia).

Se confermato, Gorsuch sarà il nono giudice della Corte e romperà quella situazione di parità che si è creata dopo la morte di Scalia: alcune delle ultime questioni affrontate, per esempio la protezione degli immigrati senza documenti, sono finite con una netta frattura tra i quattro giudici liberal e i quattro conservatori (lasciando di fatto in vigore le sentenze delle corti inferiori). Gorsuch può appunto fare la differenza a favore dei conservatori, che potrebbero avvalersi anche di future nuove nomine da parte di Trump: tra i giudici liberal, Ruth Bader Ginsburg ha 84 anni; Stephen Breyer 78. Solo un altro giudice conservatore sposterebbe la maggioranza a sei contro tre, orientando per decenni a destra la giurisprudenza e la società americane.

A questo punto, la nomina di Gorsuch passa al Senato. E qui la situazione rischia di diventare complicata. Il nome di Gorsuch deve anzitutto arrivare al Senate Judiciary Committee, i cui venti membri devono avere il tempo di condurre ricerche sul candidato. Si passa poi alle audizioni di conferma, che possono prendere diversi giorni. Al termine delle audizioni, i membri del Committee hanno a disposizione altri giorni per sottoporre domande scritte al candidato. Il Committee quindi vota e lo rimanda all’aula del Senato.

E’ un processo che può durare mesi e su cui incombono diverse incognite. Soprattutto una: cosa decideranno di fare i democratici? Come detto, la scelta di Trump rischia di metterli in seria difficoltà. Gorsuch è infatti un giudice molto conservatore ma anche di grande valore; è stato votato dai democratici al momento della nomina a giudice federale. Il voto contrario, ora che Trump lo nomina alla Corte Suprema, sarebbe probabilmente visto come una mossa puramente politica.

Alla fine è comunque probabile che i democratici mettano da parte le riserve e cerchino di bloccarne la nomina con un ostruzionismo duro (come peraltro hanno fatto i repubblicani con il giudice Merrick Garland, nominato da Obama al posto di Scalia ma mai approvato dal Senato). I senatori Elizabeth Warren e Bernie Sanders hanno per esempio già dichiarato la loro opposizione – Sanders in un tweet ha scritto: “Gorsuch deve spiegare la sua ostilità ai diritti delle donne, il sostegno alle corporation e l’opposizione alla riforma sul finanziamento alla politica”.

Gorsuch ha bisogno di 60 voti per essere nominato. I repubblicani del Senato sono 52, i democratici 48. Questo significa che dovrebbero esserci otto senatori democratici pronti a superare le barricate di questi mesi e offrire il loro voto. Cosa, appunto, improbabile. I repubblicani hanno un’altra possibilità, fortemente caldeggiata da Trump, che non a caso in gergo politico si chiama nuclear option, opzione nucleare. Potrebbero cioè cercare di cambiare le regole del Senato e far passare Gorsuch con una maggioranza semplice. Si tratterebbe di una rottura profonda delle consuetudini parlamentari che non piace a molti repubblicani (non piace per esempio a Mitch McConnell, il leader del Senato; e non piace a Susan Collins, che ha già spiegato di essere contraria).

C’è da attendersi dunque, prima che Gorsuch entri alla Corte Suprema, un percorso lungo, tortuoso, accidentato, che con ogni probabilità destabilizzerà e radicalizzerà ancor di più la vita politica di Washington.

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