Corruzione internazionale per una mega tangente per concessione del giacimento petrolifero Opl-245 in Nigeria. La Procura di Milano ha chiuso le indagini per il caso Eni-Nigeria: nel registro degli indagati undici persone fisiche e due società in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa. Tra i destinatari dell’avviso di conclusione indagini ci sono l’ad di Eni, Claudio Descalzi, il suo predecessore Paolo Scaroni e l’uomo d’affari Luigi Bisignani. All’epoca dei fatti Scaroni era numero uno del gruppo petrolifero, mentre Descalzi, scelto come suo successore dall’azionista ministero dell’Economia, guidava la divisione Oil & gas.

La maxi tangente per il petrolio nigeriano
Cuore dell’indagine è l’ipotizzata bustarella da un miliardo e 92 milioni suddivisa tra politici e intermediari nigeriani e manager e mediatori italiani ed europei. Secondo la ricostruzione dei pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Isidoro Palma, che nel 2014 hanno ottenuto il sequestro in Svizzera di circa 110 milioni e dalle autorità inglesi il blocco di altri 83 milioni, tutta l’operazione di acquisto della concessione del campo di esplorazione petrolifera ha alla base una sorta di “anomalia genetica“: l’ex ministro Daniel Etete, infatti, alla fine degli anni ’90 si ‘autoassegnò’ la concessione del giacimento a costo zero, tramite la società Malabu e attraverso prestanome. Gli altri due soci erano un figlio del dittatore Sani Abacha e la moglie di un ex ministro. Ciò, inoltre, diede origine all’epoca anche ad una serie di cause tra Malabu, l’ex ministro e il governo nigeriano che voleva riprendersi l’utilizzo della concessione. Governo che riuscì a revocare quella concessione assegnata a Shell e poi nel 2006 la riassegnata nuovamente a Malabu.

La Shell era finita nel mirino degli inquirenti lo scorso marzo per 115 milioni di dollari che avrebbe ‘girato’ a Eni a titolo di ‘rimborso spese’; 115 milioni considerati “a latere dell’operazione” con cui nel 2011 versò ufficialmente 1 miliardo e 90 milioni di dollari al governo nigeriano in cambio della licenza dello sfruttamento del blocco petrolifero posseduta da Malabu Oil and Gas, tra i cui soci ci sarebbe l’ex ministro del petrolio della Nigeria Etete. Nel 2011, Eni indagata in qualità di ente, ha acquistato dal governo nigeriano la concessione per 1 miliardo e 92 milioni di dollari, una cifra che, però, gli inquirenti contestano tutta come presunto prezzo della corruzione internazionale mentre Malabu sarebbe stata utilizzata, in sostanza, come società ‘schermo’ o ‘paravento’ per il giro di presunte tangenti.

Sempre secondo la ricostruzione, una tranche della tangente, circa 215 milioni, se non fosse stata sequestrata nell’estate 2014 dalla magistratura di Gran Bretagna e Svizzera sarebbe stata destinata a pagare anche manager Eni, due intermediari stranieri, il nigeriano Emeka Obi e il russo Ednan Agaev, e due mediatori italiani, Gianluca Di Nardo e Luigi Bisignani. Pertanto, tra i nomi che si leggono nell’avviso di chiusura indagine ci sono anche quello del capo della divisione Esplorazioni dell’Eni, Roberto Casula, e di un ex dirigente Eni nell’area del Sahara, Vincenzo Armanna.

Le indagini partite dopo le intercettazioni di Bisignani nella P4
L’indagine era partita dopo l’acquisizione da parte dei pm delle intercettazioni dell’indagine del 2010 dei colleghi di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio sulla cosiddetta P4, in cui era coinvolto anche Bisignani, che ha patteggiato un anno e 7 mesi. Dalle intercettazioni dell’indagine napoletana era emerso l’intervento di Bisignani sui vertici dell’Eni di allora. Intercettato, parlava al telefono con l’ex numero uno Scaroni e anche con Descalzi. Dalle conversazioni emergeva come nel 2010 l’ex ministro nigeriano Etete avesse contattato Di Nardo per trattare, con l’intercessione di Bisignani, la vendita a Eni della concessione Opl 245, un immenso campo con riserve stimate in 500 milioni di barili equivalenti di petrolio. “L’uomo che sussurrava ai potenti”, stando alle indagini, ha presentato Il mediatore Gianluca Di Nardo a Scaroni, che a sua volta lo ha messo in contatto con Descalzi, allora a capo della divisione Oil. Etete infatti nel 1999, ancora ministro, aveva assegnato l’immenso giacimento alla società Malabu, che attraverso prestanome era controllata da lui stesso e dal generale Abacha, allora capo del governo.

Le trattative con l’ex ministro e la maxi percentuale per il mediatore
La trattativa del 2010 tra Etete e il Cane a sei Zampe non è andata a buon fine, ma pochi mesi dopo, nell’aprile 2011, Eni ha chiuso l’affare direttamente con il governo nigeriano, che accusava l’ex ministro (condannato per riciclaggio in Francia nel 2007) di essersi appropriato indebitamente della concessione. La cifra, però, è rimasta la stessa concordata in precedenza tra Obi, Bisignani e Di Nardo: 1,09 miliardi di dollari. Contestualmente il governo nigeriano ha incassato 200 milioni di dollari da Shell. E ha girato una somma identica alla Malabu. I particolari sull’affare sono emersi quando, lo scorso anno, Obi e un altro mediatore, il russo Ednan Agaev, hanno citato in giudizio Malabu davanti alla High Court di Londra reclamando il pagamento del 19% della somma. Cioè la maxi percentuale promessa per la mediazione. Obi è uscito vincitore e si è visto riconoscere 110,5 milioni.

Le carte di Londra e il ruolo di Descalzi Le carte londinesi, finite poi nel fascicolo dei pm di Milano, contengono molto materiale sul ruolo di Descalzi, che nel febbraio 2010, durante le trattative con Malabu, ha per esempio partecipato a un incontro all’hotel Principe di Savoia con Etete, Obi e Agaev. Dagli atti della causa, come riportato dal Fatto, emerge che secondo il giudice la cena “dimostrava precisamente a Etete cosa le entrature in Eni di Obi erano in grado di ottenere per Malabu”. E anche nel periodo agosto-ottobre 2010 “Obi si è incontrato frequentemente con Eni e in particolare con Descalzi”.

Eni: “Operazione corretta, daremo incarico per verifiche”
Preso atto della chiusura delle indagini, l’Eni “ribadisce la correttezza dell’operazione relativa all’acquisizione della licenza per lo sfruttamento del blocco OPL 245, conclusa, senza l’intervento di alcun intermediario, da Eni e Shell con il Governo nigeriano”. L’Eni sottolinea anche di aver “incaricato uno studio legale americano, di rinomata esperienza internazionale, del tutto indipendente, di condurre le più ampie verifiche sulla correttezza e la regolarità della predetta procedura. Dall’approfondita indagine indipendente è emersa la regolarità della procedura di acquisizione del blocco OPL 245, avvenuta nel rispetto delle normative vigenti. In particolare, non sono emerse prove di pagamenti da Eni a funzionari del Governo nigeriano. La somma versata da Eni e Shell per il blocco OPL 245 è stata, d’altronde, versata direttamente su un conto intestato al Governo nigeriano”. Non appena l’Eni avrà materialmente a disposizione gli atti depositati dalla Procura, “disporrà ulteriori approfondimenti ad opera di legali indipendenti, che possano confermare la regolarità dell’operazione”.

AGGIORNAMENTO

l’Ing. Roberto Casula è stato assolto con sentenza passata in giudicato nel processo c.d. OLP 245 e la sua posizione è stata archiviata per quel che riguarda il reato di corruzione internazionale per la c.d. vicenda congolese.

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